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Videodrome – David Cronenberg [1983]

10 giugno 2013

The revolution will be televised

Videodrome

La violenza può eccitare? Se si, fino a che punto sareste disposti a spingervi nel guardare atti di violenza fisica?

Questo è il punto di partenza dal quale parte il regista David Cronenberg per imbastire un complesso ragionamento che, a prodotto finito, consegnerà l’opera alla storia del cinema costituendo un film di svolta nella propria filmografia, probabilmente la sua più acuta e lungimirante riflessione sulla società e sull’individuo nonché una sottospecie di unicum cinematografico che pochissimi altri registi hanno avuto il coraggio di seguire perlomeno a livello ideologico.

È il passaggio dalla trasmissione di semplici spettacoli pornografici attraverso un’emittente televisiva alla trasmissione di crudissimi spettacoli di sadomasochismo estremo a costituire l’incipit d’un distopico e variegato affresco che ricopre un’intera parete con le sue scene, separate non da inserti architettonici ma da semplicissime quadrature dipinte, perché così è strutturato questo film con le sue scene che apparentemente affrontano varie tematiche distanti tra loro ma che nel complesso sviluppano un’unica medesima storia di degrado della natura umana e dell’essere umano stesso all’interno della società a noi contemporanea.

Con la costante del medesimo protagonista che ritorna onnipresente, quasi ossessivamente, in ogni inquadratura di ogni scena, il regista sfrutta il tema della pornografia per entrare con facilità nelle fantasie del protagonista stesso nonché dello spettatore per poi insinuarsi con viscida rapidità nel tema della violenza, sempre più marcata, sempre meno raffinata dove la volontà dell’individuo non ha più il diritto di esistere ottenebrata da oscuri desideri e oscure pulsioni ataviche e incontrastabili.

Nel secondo registro di questa cruenta pittura parietale, Cronenberg sfuma le scene con colori più cupi, con ombre più accentuate svicolando abilmente dai temi-chiave utilizzati per scardinare le difese del protagonista/spettatore, svelando la vera natura dell’intero ragionamento: la sottomissione dell’uomo.

Sottomissione non più fisica, dove se un personaggio è sottomesso un altro è per necessità colui che sottomette, bensì ideologica. La sottomissione è dell’uomo nei confronti dei mezzi di comunicazione, dei falsi svaghi, della falsa volontà di potenza, insomma, nei confronti di sé stesso.

Videodrome

Sotto attacco finisce la televisione. Il televisore è la demoniaca arma in grado di mutare sé stessa per accomodare sempre più il suo spettatore al fine d’inglobarlo fisicamente in sé stessa, di fagocitarlo sino al punto di scarnificarne il corpo, di trasmutarlo in meta-corpo superfetazione del suo essere passato. Soltanto sul finale l’oggetto televisore, la scatola-arma, distrugge sé stessa per mostrare la sua autentica [ma come può essere autentica se è oggetto artificiale?] natura [ma come può avere una natura se è artificio?], spalancando verso il suo unico spettatore una scurissima voragine pronta, come la bocca degli inferi, a trascinare nel più recondito oblio [e non a caso uno dei personaggi si chiama O’Blivion, velata mimesi linguistica che richiama proprio il concetto di oblio] colui che ad essa non può far altro che sottomettersi.

Attraverso iperboliche ed efficaci immagini il deviatissimo Cronenberg mette in scena tutta la fragilità umana di fronte alla forza ammaliatrice delle proprie più dannose creazioni. La televisione, nel caso, è il nuovo mondo, è la nuova dimensione in grado di mutare mente e fisico del mondo reale. L’allucinazione sostituisce la realtà, la detronizza da centro focale delle azioni dell’uomo incoronando sé stessa come una nuova realtà alla quale fare riferimento e per la quale rivendicare il diritto di sopravvivenza.

Per Cronenberg era la televisione il mezzo di comunicazione-distruzione di massa, e così potrebbe ancora essere inteso oggi, se non fosse che nel frattempo è subentrato l’avvento di internet, vera materializzazione delle angoscianti paranoie del regista canadese. Nel film s’ipotizza un futuro dove ogni-uno si sentirà costretto a scegliere un nuovo nome, accattivante, con il quale verrà identificato nel nuovo mondo virtuale. Non è così oggi con tutti i nostri nickname che utilizziamo quotidianamente tramite internet?

E come noi, giorno dopo giorno, non riusciamo ad accorgerci del vortice nel quale siamo sempre più risucchiati senza possibilità di uscirne indenni, così il protagonista vede la portata malefica della sua situazione senza che lui medesimo possa fare nulla per curarsi da quel tumore che genera nuova carne, prova materialmente tangibile della sua dipendenza da una realtà altra, tanto virtuale da modificare ogni azione nella realtà quotidiana.

Il sesso dov’è finito in tutto ciò? Dov’è finita la violenza sadomasochistica che tanto scombussolava, nel bene o nel male, gli animi all’inizio della vicenda?

Videodrome

Cronenberg non agevola la comprensione dell’opera con simbologie evidenti immediatamente identificabili a una prima visione dell’opera, bensì dissemina il film d’indizi, di spunti per riflessioni varie che per differenti vie convogliano tutte verso un progressivo degradante nichilismo atto a riportare in vita l’autentica ferocia presente nell’animale/essere umano ma che, da chi è coinvolto nei fatti, prende la via della feroce quanto debole autodistruzione atta a far sacrificare sé stessi a un dogma, a una frase, a un motto, che cela una filosofia meditata e coscientemente orientata a ripulire la società dai deboli e i malformati, esattamente per come li citava e intendeva Friedrich Nietzsche agl’inizi del suo saggio L’Anticristo del 1888. I deboli evidentemente sono coloro che non hanno la forza per criticare il dogma e hanno costante necessità che gli si prepari un pensiero da ripetere meccanicamente nei loro pleonastici discorsi. Per Nietzsche costoro non erano altro che i seguaci di una religione, il cristianesimo, nello specifico. Per Cronenberg non sono altro che seguaci di un’ideologia preparata ad hoc per persuadere, ingannare e controllare. E poi ci sono i malformati ai quali il filosofo tedesco non dava una valenza fisica, ma che nel film di Cronenberg divengono mutanti a tutti gli effetti. La vaginale bocca che dilania il ventre del protagonista ne è la caratterizzazione più evidente, metafora d’un luogo fisico preposto all’inseminazione, nel caso non ri-produttiva nel senso di procreativa bensì riproduttiva nel senso di ripetizione meccanica di ordini impartiti attraverso la violante inseminazione artificiale dove il seme non è altro che un nastro magnetico contenente le informazioni che controlleranno l’uomo, depredato della sua individualità per poter essere automa societario, insospettabile sicario d’una società troppo affollata e competitiva.

Effetti speciali a parte il film non regala apparenti momenti visivi di straordinaria bellezza eppure le immagini che rimangono impresse per molto tempo dopo la visione sono molte, indice di come la bellezza, se fine a se stessa, sia molto meno efficace di qualcosa in grado di smuovere la nostra parte più primitiva, più animalesca, per non dire esplicitamente violenta.

Nella narrazione, apparentemente a tratti sconclusionata, c’è anche spazio per colpi di scena e ribaltamenti narrativi.

A rendere questo film memorabile ci pensano le tematiche, la forza espressiva d’una poetica filmica pienamente personale e d’ora in avanti identificabile con il suo autore, ma anche parimenti un meraviglioso protagonista interpretato da un allucinato James Woods, espressiva maschera d’inconfessate perversioni. Efficace nelle sue fugaci apparizioni anche Deborah Harry, semi-esordiente con qualche minore esperienza pregressa nell’ambito, ma altrove resa famosa dalla sua carriera musicale in quanto ex-cantante dei Blondie.

Videodrome

Videodrome è un film memorabile, anche se forse non così indimenticabile alla sua prima visione. È un film pregno che ha l’unico difetto di concedersi qualche divagazione [anche visiva] su una certa retorica cinematografica propria del periodo nel quale viene prodotto. In altre parole Cronenberg crea un’opera intelligentemente straordinaria alla quale manca qualcosa a livello registico che l’avrebbe potuta rendere inarrivabile. Amen. Non si può avere tutto.

9,5

Danilo Cardone

3 commenti leave one →
  1. 18 agosto 2013 19:59

    E’ nella mia watchlist da tanto tempo….e non ho ancora trovato il tempo di guardarlo. La tua recensione mi ha dato la carica giusta 😊. Complimentissimi per il blog

    • 19 agosto 2013 11:32

      Sono felice d’aver stimolato tale visione.

      Grazie mille per il commento, lupokattivo. Se vorrai condividere il tuo pensiero sul film, questo spazio sarà ben lieto di ospitarlo. 😉

  2. 23 luglio 2016 18:05

    Concordo ij pieno con la recensione. Anch’io quanto ne ho parlato sul mio blog l’ho additato come il miglior film di Cronenberg e una delle pellicole più caustiche sulla TV e sui suoi contenuti. Imperdibile.

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