Diario Di Uno Scandalo – Richard Eyre [2006]
Le tre metà
Può succedere che due persone s’innamorano e non ci sarebbe nulla di strano. Non sempre, però, questo amore può essere colto e apprezzato da tutti, talvolta nemmeno dalla legge.
Il regista Richard Eyre, più avvezzo al piccolo che al grande schermo, si lancia nella realizzazione di un film delicato che non solo cammina in bilico sul sottile filo del thriller psicologico per rischiare di cadere nel gran burrone senza fine dei film romantici, ma addirittura introduce tematiche scomode che avrebbero potuto da una parte ridicolizzare la credibilità del prodotto finito mentre dall’altra avrebbero potuto renderlo un prodotto talmente radicale nelle intenzioni da risultare non commerciabile.
Richard Eyre, come già accennato, ha esperienza in merito a come accomodare un vasto pubblico dunque pare ben felice di mitigare le parti in causa dirigendo senza troppa personalità un film che vive di retorica e ottimi spunti.
Il pacchetto è ben confezionato e il regalo non delude. Non ci si stufa di guardare il film già a metà della proiezione e non se ne vorrebbe ancora. Il problema è proprio questo: se non annoia significa che ha un buon ritmo e buoni spunti ma, per contro, se non ne vorremmo ancora significa che il film non aveva molto altro da dire e anche se lo avesse avuto, non ci avrebbe interessato più di tanto.
Questo è dunque il risultato di una regia accorta ma non artistica, una regia che non tralascia dettagli ma che non ha intenzione di scavare a due mani nell’animo dello spettatore come avrebbe fatto un Ingmar Bergman, tanto per citare un regista che di storie rette soltanto dalla bravura di due protagoniste ne sapeva qualcosa. La storia scorre, noi la osserviamo e comprendiamo perfettamente ciò che sta avvenendo. Seguiamo il tutto come si segue un bel thriller, per vedere cosa succederà nella scena successiva ma, ed ecco il problema, non vogliamo che quella storia si sviluppi per evolvere noi stessi, bensì solamente per scoprire come un personaggio si districherà da una situazione piuttosto che dall’altra.
La prima parte del film gode di una sceneggiatura davvero intelligente, tagliente al punto giusto. Tutte le basi sono poste con sapienza e ritmo, ma è la seconda parte che scade in situazioni retoriche e, in fin dei conti, un po’ incredibili o comunque non approfondite. Gli stessi trucchi avvalorano ciò.
Detto ciò bisogna rendere merito a quest’opera che regala momenti degni di nota. Il tema della pedofilia, per esempio, vive qui attimi di fervente innovazione che purtroppo, lo ripeto ancora una volta, scadono per compiacere a un pubblico vasto e variegato. Eyre sfiora il tema della maturità e dell’impossibilità di fissare un’età che possa accomunare ogni essere umano ma poi, per non incappare in critiche avverse, sommerge la questione dando maggior rilievo alla classica crisi di coppia del più grande dei personaggi in causa.
L’altro tema forte che emerge dalla superfice è il rapporto di solitudine e di abbandono che vive un persona anziana nel fisico ma accesa nello spirito. Uno spirito persino invidioso e traditore, come lei stessa si definisce paragonandosi a Giuda. La delicatezza subdola con la quale la mancanza di questo personaggio succhia [anche qui il riferimento al vampiro è esplicitato in una battuta del pre-finale] linfa vitale al prossimo pur di non deperire in dimenticata e disprezzata solitudine solleva un problema grande e di difficile analisi che nel film trova la più importante delle motivazioni in una sessualità molto più che ambigua che per necessità deve essere celata. Quali siano queste necessità sarebbe altro motivo d’interesse per ulteriori indagini che ora non si approfondiranno. Importante è notare come il tema della pedofilia, o meglio, dell’amore spirituale e carnale per chi ha molti meno anni, emerga come necessità atavica, come nucleo del nostro essere esseri che invecchiano e perdono lucentezza. Le stelline che tornano in più punti del film sono proprio l’esplicitarsi della volontà/necessità di mantenere in vita quell’eterna giovinezza che il tempo costantemente erode.
Molti spunti, molti argomenti che il regista amalgama con attenzione e bravura, malgrado sul finale la narrazione perda d’incisività e credibilità.
In quest’analisi è ancora importante evidenziare come l’eterogeneità degli spunti coesista grazie alla presenza dei segreti che, come viene detto durante il film «possono essere seducenti». La seduzione è dunque la chiave per comprendere il film, più ancora che il piacere carnale e spirituale. La seduzione è la tentazione regina per il nostro ego che ama essere lodato laddove l’azione del sedurre venga apprezzata e altrettanto laddove si viene sedotti. La seduzione è principale alimento dell’ego che mantiene in vita la speranza di poter non essere soli.
Buona la colonna sonora che funge da mero sfondo alle vicende, ma è l’interpretazione delle protagoniste a costituire almeno metà della riuscita del film. Cate Blanchett a dir la verità non sfigura, mettendo in gioco una bella presenza, ma è Judi Dench ad offrirci una [la sua ennesima] prova di recitazione da premio Oscar che, per quel che possa contare un premio, non arrivò, malgrado la candidatura. Menzione anche per il giovane Andrew Simpson, sufficientemente sciolto di fronte alla macchina da presa.
Diario Di Uno Scandalo è un film interessante, che non farà rimpiangere d’essere stato visto.
Danilo Cardone