Garage – Lenny Abrahamson [2007]
D’amore, d’abbandono
Un uomo gestisce un benzinaio nella campagna irlandese. Le facce dei clienti sono sempre le stesse, i problemi sono sempre gli stessi e tutto fluisce come deve fluire.
Il regista Lenny Abrahamson con questo film vinse il Torino Film Festival nel 2007 e non c’è da stupirsi per questo risultato. L’affresco di una micro-realtà irlandese, che [forse] potrebbe essere qualunque luogo in qualunque tempo, è di una delicatezza tanto leggera quanto struggente.
La macchina da presa si concentra sempre e solo sulle azioni del protagonista, il benzinaio, il tontolone, lo scemo del villaggio, che tutti un po’ compatiscono e un po’ deridono. È nei suoi panni che ci caliamo per affrontare la monotona e semplice quotidianità delle sue azioni. Eppure il sommesso dramma è universale, cosmico nella sua popolarità.
Malgrado il benzinaio sia il protagonista assoluto è la società che lo circonda a essere sotto i riflettori di un Abrahamson che si interroga, così come nel suo ultimo lavoro What Richard Did, sulla morale. La società, un insieme di persone che in questo film visivamente non fa che capolino sulla scena ma che dilania la vita dell’uomo così come quella della natura.
La Natura, rifugio intimamente spirituale di un protagonista solo, solitario e totalmente inglobato nella solitudine, da non farci nemmeno più caso.
Gli eventi che lo coinvolgono sono per lui diversivi, amarissimi contrattempi ai quali si concede senza la benché minima parvenza di arroganza. Intimamente consapevole della sua situazione da disadattato, come i ragazzi lo chiamano, lascia che sogni e illusioni lo sfiorino eppure se li scrolla via di dosso semplicemente muovendo le spalle, perché se in tutta una vita certe emozioni non sono arrivate, non c’è possibilità che si presentino con così tanto ritardo.
L’amore, l’amicizia, ecco cosa lo scava da dentro, ed ecco cosa cerca e in cosa non può permettersi di credere. L’amore, la donna, carne e spirito, utopica delizia e dura realtà. La donna danza davanti a lui, con lui, per un istante eterno che significa la vita intera. L’amicizia, quella adolescenziale che gli è sempre mancata, è qualcosa al quale deve forzatamente confrontarsi per un tempo più lungo, quel tanto da lasciarsi aprire il cuore e concedersi anima e corpo a quello che lui vede come un amico, come l’occasione per dare un senso alla sua vita da solitario uomo buono solo a mettere benzina nelle auto di chi le possiede.
E invece è proprio da lì che arriva l’insidia maggiore, un’insidia che sfocia in fantasticherie maligne di chi quell’amicizia non ha mai nemmeno voluta vederla. Sfumature sul tema della pedofilia come già viste nel capolavoro Les Dimanches De Ville D’Avray di Serge Bourguignon del 1962, affiorano dalla cieca idiozia che non è figlia altra che della repressione di pedine societarie che sfogano sui più deboli i propri rancori, le proprie insoddisfazioni.
Il benzinaio, non si lamenta mai. Subisce tutto ciò? Forse semplicemente lo accetta umilmente, divenendo così emblema dell’anti-arroganza che imperversa nella contemporaneità, silente martire d’una società schiava della fretta e dei preconcetti. Chi ha mai il coraggio di prendersi il tempo necessario per entrare in empatia con un soggetto, prima di accusarlo? Chi è mai disposto a mettersi al livello di chi si giudica inferiore, per poterlo condannare? Nessuno, perché questo significherebbe nella totalità delle volte, fallire, comprendere che un punto di vista opposto al nostro ha le sue ragioni di esistere, e nessuno di noi ama ammettere di poter essere anche solo potenzialmente in un relativo torto.
Dunque Lenny Abrahamson filma una canna mossa dal vento fino a quando questa si spezza e cade stancamente nell’acqua del fiume che fino a poco prima la aveva sostenuta.
Straordinario l’attore protagonista Pat Shortt.
Garage è un film apparentemente statico, ma profondamente mutevole nella sua sommessa essenzialità. L’uomo difficilmente è in grado di capirla con la facilità con la quale può comprenderla una animale, perché no, un cavallo.
Danilo Cardone
L’Irlanda non è solo verde.
Eh.. bello spunto.
Il verde della natura, quello non glielo puoi togliere, ma è il verde della linfa vitale delle persone a mancare, in Irlanda come quasi in qualsiasi altro posto sulla Terra.
Dov’è la terra della salvezza, se in ogni terra v’è l’uomo?