Il Ritratto Di Dorian Gray – Albert Lewin [1945]
Through the looking-paint, and what Dorian found there
La storia è quella che più o meno tutti conosciamo: a un uomo, giovane e bello, viene effettuato un ritratto talmente affascinante da indurre il personaggio ritratto, Dorian Gray, a pregare affinché lui stesso possa rimanere sempre così bello mentre il quadro possa invecchiare al suo posto. E così sarà…
Probabilmente la più fedele e convincente tra le trasposizioni cinematografiche dell’originale testo di Oscar Wilde .
Albert Lewin è un buon regista, forse non ancora ri-valutato a dovere. Alcuni spunti sono davvero interessanti [il coltello finale, il gatto, la luce che ciondola nella stanza proibita, etc…] e allietano la visione da parte di un pubblico variegato. Purtroppo è nella narrazione che il film arranca un po’, che perde fluidità in favore d’una viscosità narrativa.
La prima parte è ottima, dominata da un George Sanders in forma smagliante. Cappello a cilindro in testa e pizzetto a punta sempre in ordine, è lui il portatore delle migliori battute sulla scena. Il suo cinismo eleva il livello della sceneggiatura e rende giustizia al freddo estetismo dello scrittore irlandese. Poi, però, la trama prosegue e s’appesantisce quando sale in cattedra l’imperturbabile Dorian Gray, ormai già corrotto dal dipinto. La sua apostasia dalla società non permette allo spettatore una totale immedesimazione, malgrado l’attore Hurd Hatfield sia la perfetta maschera dell’assenza di un’anima. Hatfield è un meraviglioso involucro che cela il nulla spirituale, quell’orripilante degrado che muta il quadro e che lo consuma da dentro, senza che si lasci trasparire nemmeno un segno del tempo sul suo volto diabolicamente invulnerabile. Forse non è esattamente il personaggio descritto da Wilde ma rende perfettamente l’idea e il senso dell’opera.
A discapito di ciò, la fruizione del film, che risolleva le sue sorti soltanto nel finale quando Gray prende coscienza della sua [in]voluzione e dell’impossibilità di salvare la sua anima.
Gli ambienti sono molto ben ricostruiti, soprattutto quelli interni e la fotografia con più d’una eco espressionistica esercita indubbiamente un fascino che nel cinema contemporaneo non si sa più ricreare.
Notevoli i radi inserti a colori quando la macchina da presa inquadra il dipinto. Ingrovigliati nel bianco e nero di tutte le altre scene rappresentano motivo di stupore per lo spettatore del ’45 nonché buona trovata commerciale. L’epoca è quella dei primi esperimenti con le pellicole a colori, basti pensare che nel ’39 era stato girato Il Mago Di Oz diretto [in parte] da Victor Fleming che dagli storici del cinema viene considerato uno dei primi grandi lungometraggi a colori della storia assieme al coevo Via Col Vento dello stesso regista e dello stesso anno.
Parte importante ma non troppo cospicua per Angela Lansbury che per quest’interpretazione ricevette anche una nomination agli Oscar come miglior attrice non protagonista.
Il Ritratto Di Dorian Gray è dunque un bel film che forse ha patito un po’ troppo il trascorrere del tempo. Un pubblico cinematograficamente più ingenuo sapeva senza dubbio lasciarsi trasportare con maggiore enfasi in questa narrazione dal ritmo altalenante.
Danilo Cardone