The Cat That Lived A Million Times – Tadasuke Kotani [2012]
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La solitudine dello spettatore
The Cat That Lived A Million Times è uno dei libri illustrati per bambini più famosi del Giappone. Pubblicato nel 1977 ha plasmato la fantasia di migliaia di giapponesi.
Quando il regista Tadasuke Kotani ha deciso di avviare il progetto che avrebbe portato alla creazione di un documentario sulla creatrice di quel libro, Yoko Sano, non sapeva che lei era malata di cancro. Sperava di vivere ancora un anno, ma già dopo sei mesi si aggravò irrimediabilmente.
Kotani rimase impressionato da questa situazione. Fu talmente colpito da questa notizia che decise di virare gli intenti del progetto fino a creare un documentario che riflettesse sulla morte, proprio a partire dal libro della Sano.
Senza poterla mai riprendere in viso, per espressa volontà dell’artista, Kotani porta la sua macchina da presa in alcune abitazioni per intervistare quelle signore, più giovani o più anziane, che con quel libro hanno avuto un rapporto particolare. Degli esempi tra migliaia accomunati dal dolore che queste persone portano lancinante dentro di loro.
Il problema è proprio qui: perché soffermarsi così sulla sofferenza? Questo film non pare una riflessione sulla morte bensì una successione ben assortita di patetismi gratuiti, di testimonianze di sofferenze disomogenee che poco hanno in comune tra loro e con la storia del gatto. I disturbi di quelle donne potranno anche essere interessanti ma così pare violenza psicologica gratuita su uno spettatore costretto a soffrire i drammi di quelle poverette.
Senza discutere la profondità di quei racconti e la delicatezza zen con la quale Kotani la immortala lo spettatore non può uscire soddisfatto da una sala che ha proposto solo racconti di sofferenza. Il tema della morte lega i racconti, così come ciò che accompagna il morente al termine ultimo della vita terrena. È però corretto parlare della morte a suon di lacrime? Ovviamente si, però questo porta a poco, se non ad affossare il morale di uno spettatore che non tornerà a casa né con una visione analitica e filosofica del tema né tantomeno arricchito di un’esperienza che non sia di sofferenza gratuita.
La regia è buona, soprattutto per come Kotani porta in primissimo piano alcuni dettagli di vite, alcuni disegni evocativi perché non spiegati tramite la parola. Il regista parlando del film prima della proiezione al 30° Torino Film Festival pare assolutamente sincero, quasi commosso, però ciò non basta.
The Cat That Lived A Million Times non ci convince, non ci coinvolge, non ci interessa.
Danilo Cardone