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Call Girl – Mikael Marcimain [2012]

28 novembre 2012

.30° Torino Film Festival

Lasciami uscire

Call Girl

Nella Svezia degli anni ’70 una ragazzina problematica e ribelle si ritrova a far parte di un giro di escort per i più potenti uomini [soprattutto politici] di Svezia.

Se la storia vi può riportare alla mente recenti fatti avvenuti in Italia, non state sbagliando. La solfa è più o meno quella, e infatti anche questa è una storia realmente accaduta. Forse fa un po’ strano pensare che ciò sia potuto avvenire nella ligissima Svezia ma, come è lo stesso regista coadiuvato dalla sceneggiatrice a rimarcare a fine proiezione al 30° Torino Film Festival [dove è tra i film in concorso come miglior lungometraggio], le società sono fondamentalmente tutte simili ed è per questo che questa storia non può mai perdere la sua attualità.

La struttura attraverso la quale il film si muove è verticale, come ancora il regista evidenzia, attraversando le classi sociali che coesistono anche se si fa di tutto per ammettere il loro abbattimento. La bionda protagonista si muove ora in quella classe, ora in quell’altra, e in far ciò muta lei e ciò che le sta attorno, fornendoci visioni multiple di una società apparentemente omogenea ma profondamente disomogenea sotto la cortina di buonismo che strenuamente si cerca di tenere issata.

Il film è splendido.

La regia è pulita, cristallina, d’una raffinatezza esemplare. Marcimain gioca molto con gli zoom out, con le prospettive che fendono vetri e fa il possibile per riportarci all’epoca degli eventi. La ricostruzione scenografica è minuziosamente perfetta, così come accade per i costumi, i trucchi e per le importantissime musiche che accompagnano spettatore e protagonisti per tutta la lunga durata del film.

Call Girl

Registicamente i precedenti riscontrabili sono molti. Marcimain paga il debito a Tomas Alfredson, suo amico e collaboratore, e poi film come Tutti Gli Uomini Del Presidente del ’76 o l’italianissmo Il Divo di Paolo Sorrentino. Il regista svedese confessa il suo amore per Truffaut ma ciò era già ben evincibile da una macchina da presa che segue i quattrocento colpi della disadattata protagonista, con tanto di sguardo in macchina finale che richiama Truffaut nelle intenzioni ma non esclude Godard con l’ultima scena di A Bout De Souffle.

L’altro Godard esplicitamente citato è quello di Vivre Sa Vie del 1962. L’evoluzione della “fortuna” di Nana aveva modi similari, per certi aspetti, a quanto osserviamo oggi nel film di Mikael Marcimain.

I 140 minuti della pellicola, rigorosamente quella canonica a 35mm, scorrono via con facilità grazie alla bravura del regista che gli permette di non cadere in ridondanti e un po’ ruffiani patetismi che si sarebbero adattati con molta facilità alla vicenda. Invece l’onnipresente musica coinvolge lo spettatore emotivamente ma non in maniera depressa. Il carattere quasi da paese dei balocchi che assumono gli ambienti frequentati dalla protagonista/Pinocchio della situazione, conferiscono velature fiabesche dalle quali sarebbe stato meglio fuggire.

Lucignolo, la traghettratrice attraverso questo perverso mondo di amene facilità, è interpretato da Pernilla August, nata cinematograficamente con il maestro Ingmar Bergman. La sua prova attoriale in questo film ha del formidabile oltre al fatto che si mette a nudo [in tutti i sensi] come non ci si sarebbe potuto aspettare. Altra lode va rivolta alla bionda protagonista interpretata da Sofia Karemyr, credibilissima nel suo difficile ruolo da [quasi] inconsapevole Lolita.

Call Girl

Call Girl è un film perfettamente riuscito, che affonda l’obiettivo della macchina da presa su corruzioni, orge e omicidi di stato. Davvero bello.

8,5

Danilo Cardone

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