Compliance – Craig Zobel [2012]
.
The power of not knowing
Un uomo telefona in un fast food americano spacciandosi per un poliziotto. Spargendo la notizia che la cassiera diciannovenne del punto vendita ha rubato dei soldi a una cliente, obbliga, seducendo con le parole, il capo della ragazza a farle fare cose inimmaginabili.
È una storia vera. Di casi come questo, negli States, ne avvengono più di settanta all’anno.
È follia pura, ed è questo che infastidisce. Dalla sala di uno dei cinema del 30° Torino Film Festival in molti sono usciti stizziti, ma non per la bruttezza del film, bensì per la stupidità dei personaggi in scena e dunque, dell’uomo.
Com’è possibile che si possa credere ciecamente al primo psicopatico che telefona in un negozio? Come si possono eseguire ordini folli senza battere ciglio e senza dubitare un minimo della veridicità di quelle informazioni? È chiaro: in nome del guadagno. Il capo, che è una donna di mezza età, deve gestire il punto vendita in un caldissimo venerdì pomeriggio. Chi se ne importa della poveretta seviziata, denudata e stuprata nel retro del negozio?
Il discorso però si allarga maggiormente investendo l’intera facoltà di pensiero di una società non abituata a pensare con la propria testa. Perché fare lo sforzo di pensare quando eseguendo comodamente gli ordini ci si leva qualsiasi peso dalla coscienza? Perché fare la fatica di prendere coscienza di sé stessi se seguendo mode e politiche altrui posso avere uno stipendio mensile, un’auto e un telefono cellulare di ultima generazione?
L’idiozia smisurata pare un batterio killer che ha contagiato le cellule cerebrali di milioni di persone nel mondo.
Amen.
Compliance è ben diretto e anche se la regia è consueta vanta qualche sprazzo di brillantezza soprattutto nell’occasione del montaggio parallelo. Il film più che entusiasmare [la noia non è del tutto esclusa] fa riflettere.
Danilo Cardone