Carter – Mike Hodges [1971]
Vestito per uccidere
Carter è un film che divide.
C’è chi lo considera un flop, un progetto ambizioso che sa esaltarsi solo nella violenza gratuita, e c’è chi vede in Carter un piccolo capolavoro troppo presto dimenticato da critica e distributori cinematografici.
Ambientato nella Newcastle dei primissimi anni ’70, narra le vicende di Jack Carter, gangster in cerca di vendetta per la morte apparentemente accidentale di suo fratello.
In un clima totalmente british, lo stilosissimo Michael Caine, superbo nella parte, è il prototipo perfetto dell’uomo deciso, rude quando serve, pieno d’orgoglio, vendicativo per questo e al contempo sciupafemmine e caino, come recitavano alcuni cartelli pubblicitari affissi durante la promozione del film.
Insomma, Carter è un nuovo modello di eroe. Un corrotto nell’anima in quanto facente parte della malavita, ma al contempo uno sceriffo contemporaneo, un giustiziere freddo ma non troppo, determinato e inventivo. Stupisce i suoi nemici come stupisce lo spettatore. Nessuno e nessuna possono resistergli, malgrado non s’imbatta quasi mai in colluttazioni se non verso il finale. L’ironia con la quale agisce dona un tocco originale all’intera opera e al contempo allevia la pressione d’un film che nelle prime battute stenta un po’ a prendere ritmo e a proiettarci nel vivo dell’azione.
Il bravissimo protagonista non è però abbandonato e affidato alle sue capacità e dunque ecco che la prima [che forse sarebbe anche potuta rimanere l’unica] regia di Mike Hodges fa faville.
I movimenti di macchina stupiscono fin dall’inizio ma ancor di più entusiasma la straordinaria capacità che il regista ha di occultare parte dell’azione con oggetti o personaggi in primissimo piano lasciandoli fuori fuoco e concentrando il suo occhio-macchina su primi piani totali o parziali di personaggi ai quali non resterà che una sola porzione d’inquadratura. La reiterazione di questa efficacissima soluzione segna una vera e propria cifra stilistica per quest’opera che della psicologia dei personaggi ne fa un vero e proprio enigma.
Se i nudi sono presenti, ora celati e ora non portando il film a suscitare veri e propri scandali, le varie psicologie dei protagonisti sono ambigue, definite e continuamente smussate, sfuocate.
Persino il Carter che fa un po’ il verso alla Sposa In Nero di Truffaut del ’68, spiazza. Noi speriamo che lui se la riesca sempre a cavare, ma così facendo prendiamo a spron battuto le parti di un gangster assassino che si prende gioco un po’ di tutti tra i quali molti faranno una brutta fine. E poi, da non sottovalutare soprattutto per l’epoca, è un donnaiolo che cambia partner senza pensarci su due volte, anzi, spesso e volentieri conquistando donne altrui.
Jack Carter è un rivoluzionario, un sessantottino violento che ripudia qualsiasi legame e qualsiasi imposizione. Ci ricorda un po’ il protagonista di Frenzy, preso in mezzo da tutti ma deciso a salvarsi la pelle. Frenzy di Hitchcock del ’72, film per il quale Caine rifiutò la parte del cattivo in quanto troppo cattivo e quindi lesivo per la sua immagine.
Carter è un bel film, con una regia innovativa, un protagonista bravissimo e intrigante e un finale da lodare. Nel suo genere, un cult.
Danilo Cardone