127 Ore – Danny Boyle [2010]
Giochi senza frontiere
Ogni cosa, ogni elemento che costituisce tutto ciò che esiste, ha un suo posto nello spazio.
Che lo si voglia o meno entriamo in contatto con alcuni di questi elementi che ci circondano e, nel bene o nel male, ne influenziamo il loro corso e al contempo ne rimaniamo influenzati.
Con che criterio ciò accada non è dato saperlo. C’è chi crede nel caso, pura successione aleatoria di eventi, e c’è chi crede nella predestinazione.
Aron Ralston, il protagonista della storia vera narrata in questo lungometraggio, ce lo dice apertamente: lui crede che già tutto sia stato scritto. Il destino esiste e non lo possiamo eludere. Lui sa come andranno le cose ed è dalla notte dei tempi che si prepara per ogni singolo avvenimento di ogni singolo istante.
Siamo noi a non saperlo, ma forse non c’è da dannarsi per questo. Se seguiamo quanto descritto in 127 Ore da Danny Boyle, e se questa visione fosse veramente quella di Aron Ralston, vedremmo senza troppe difficoltà la sacralità insita nell’eterno dinamismo del destino. Insomma, se una cosa accade, qualsiasi essa sia, noi nella nostra piccolezza di fronte [o facenti parte] dell’immenso Tutto come possiamo pensare di modificarne il naturale fluire?
Qualsiasi cosa accada.
Ad Aron, giovane ed esperto escursionista avventuriero dei canyon dello Utah, è accaduto un evento “raro”, una di quelle sfortune che non a tutti capitano: tornando a piedi verso la sua bicicletta attraverso strettissimi passaggi nei meandri del meraviglioso paesaggio americano, un piede messo male, il terreno un po’ più cedevole ed ecco il nostro eroe che si ritrova in un attimo al fondo di un crepaccio, quasi totalmente al buio, con l’avambraccio destro totalmente schiacciato contro una parete da un enorme masso appena crollato.
Solitudine.
Senza alcun modo per chiamare aiuto, pochissimi viveri e un braccio maciullato Aron tenterà di sopravvivere strenuamente cercando di uscire da quella situazione solamente con le proprie forze.
Una storia toccante, per certi versi davvero tragica che l’ormai esperto Danny Boyle tratta con un ottimismo e una leggerezza tale da sorprendere. Il film mai annoia e il ritmo è abbastanza alto malgrado la limitatezza degli elementi giostrabili sulla scena.
Purtroppo questo tono non troppo drammatico se da un lato pare seguire l’ottimismo del protagonista, dall’altro semplifica un po’ troppo una situazione che per chi l’ha vissuta non può certo esser stata così semplice come invece appare in video.
L’attenzione fotografica di un Boyle che nuovamente ricorre alla videocamera amatoriale in diverse scene, è di primo livello e non delude uno spettatore che invece storce il naso di fronte ai suoi virtuosismi ridondanti e totalmente fini a sé stessi. Ralenti, accelerazioni improvvise, split screen sparsi a due mani in tutto il film, insomma, tutti esercizi tecnici che farebbero la loro buona figura in un videoclip musicale ma che in un film di questa portata possono ammaliare solo qualche occhio inesperto.
Così come il finale, così [vero, per carità] banale nei modi nei quali viene inscenato.
Nel suo complesso il film convince abbastanza, e gran parte del merito è da attribuire al sempre più bravo James Franco che tra qualche film più o meno impegnato e la direzione di qualche corto e un paio di lungometraggi, si distingue per una mimica facciale che all’epoca del suo esordio sul grande schermo non era nemmeno ipotizzabile. È lui infatti a reggere la scena per tutta la durata del film senza farci annoiare, anzi, calandosi benissimo in una parte non troppo semplice.
Buone le musiche, sempre ben inserite nel contesto anche con una buona dose di ironia.
127 Ore è un film che si guarda volentieri [tranne per una scena oggettivamente cruenta] e che non appesantirà troppo la nostra coscienza.
Danilo Cardone