Urlo – Rob Epstein e Jeffrey Friedman [2010]
Pomi d’ottone e manici di scopa
Ci sono momenti storico-culturali nei quali il cambiamento deve arrivare. Momenti nei quali il fermento societario è tale che il cambiamento è uno sfogo naturale e necessario che non è possibile arrestare. Spesso quella mutazione di pensiero e di azione è già in atto malgrado siano soltanto in pochi a riconoscerla e ad avvantaggiarla.
Questo è il caso di Allen Ginsberg, poeta della beat generation che con le sue parole autentiche, quasi non mediate dal pudore, ha contribuito a quella rivoluzione che riuscì a liberare l’espressione dalle gabbie delle censure e dei falsi moralismi.
Allen Ginsberg, omosessuale dichiarato già nel 1955 tra una San Francisco e una New York cosmopolite faticava a liberare i suoi pensieri dai preconcetti societari e a dar libero sfogo a ciò che la coscienza e non la mente gli suggeriva.
Peyote, marijuana, chissà cos’altro. Tutto era mezzo per aprire la propria coscienza, per dilaniare quegli schemi che ingabbiano l’uomo e lo serializzano, lo inscatolano in posti a lui predestinati malgrado la sua volontà. Come nei libri esperienziali di Carlos Castaneda il giovane Allen Ginsberg sperimenta, si assuefà e s’abbandona ad altre dimensioni fatte d’unione intima tra l’essere e il Creato, tra l’uomo e ciò che lo circonda.
Ecco di cosa parla Urlo, il poema che Ginsberg pubblicò nel ’55 e che tanto fece clamore.
Con uno stile diretto, a tratti colto e a tratti volgare, delinea con cadenza jazz, quella musica che così prepotentemente usciva dagli schemi e appassionava le giovani generazioni, scenari urbani metropolitani disastrosi dove soltanto il libero essere dell’uomo può dare nuova speranza alla vita. Il messaggio di ottimismo, di possibile rinascita per Ginsberg passa dalla libertà di pensiero e di azione. E questa libertà è quella diretta delle sue esperienze. E le sue esperienze sono di droga, di vagabondaggi, di omosessualità.
Ecco perché all’uscita di Urlo non si esitò ad aprire contro di lui un processo per oscenità, quella sottile corruzione morale della società che i suoi detrattori identificavano nei suoi versi metaforicamente lascivi e rudemente esperienziali dove il significato unico e univoco è tale soltanto per chi quella determinata esperienza l’ha vissuta. Per tutti gli altri è evocazione.
Evocatività pura di scenari altri, di situazioni animalesche, istintive, solitamente represse o scartate per pudore e buon costume. Eppure è lo stesso autore a rilevare come l’omosessualità che tanto contraddistingue i suoi scritti non è altro che un metodo per esperire e analizzare sé stessi. Un modo come un altro per focalizzarsi su qualcosa e tramite quella domandarsi cosa sia il sé e quale sia il suo scopo.
Ragionamenti di questo tipo nella metà degli anni ’50 non erano propriamente di uso comune. Ginsberg lo sapeva, tanto da evitare persino di presentarsi al processo che lo vedeva imputato.
L’importanza di quel processo fu epocale. Cambiò la storia e ridefinì il concetto di oscenità e di libera espressione nel mondo occidentale per come noi oggi lo conosciamo.
Si arriva dunque al film.
I registi Rob Epstein [colui che diede l’impulso al bel Milk di Gus Van Sant, sempre sulla tematica omosex] e Jeffrey Friedman raccontano questa storia. Non c’è spazio per sentimentalismi, per vite private o cos’altro.
Magnifico spazio lasciato alla parola. A stralci [di vita] di Urlo. Agli urli poetici del Ginsberg innamorato.
E poi al processo, così da evidenziare bene le intenzioni di Ginsberg.
C’è però qualcosa che non funziona. Il mix risulta perfetto per una diffusione ampia in quanto pedagogico, esplicativo. Ma quello stesso mix risulta un po’ debole per chi in quei discorsi è già immerso e trova un po’ ridondante se non addirittura oltraggioso rappresentare in immagini le parole astratte delle realtà del poeta.
In realtà le illustrazioni che sperimentalmente s’infrappongono alle immagini, a colori e in bianco e nero, sono più che dignitose e, anzi, sono i veri punti di forza visivi del film, rendendo abbastanza bene una possibile visione dello spirito dell’autore. Certo è che illustrare ciò che non è illustrabile è per forza di cose riduttivo e, per certi versi, pretenzioso.
Insomma, ci sono bei momenti senza mai eccellere che fanno seguire questo film che trova il vero motivo d’interesse proprio nelle parole e nelle intenzioni di Ginsberg.
Il buon James Franco che con le vicende omosessuali ha ormai da tempo un certo feeling si comporta molto bene nella parte e rende piacevole osservare la figura che interpreta dandogli un giusto tocco di serenità che altrimenti si potrebbe escludere.
Urlo è un buon film, forse un po’ segmentato e a tratti leggermente ripetitivo, ma nel complesso efficace.
Danilo Cardone