Silent Snow – Jan Van Den Berg [2011]
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Talking nature
Jan Van Den Berg torna nuovamente al Cinemambiente Environmental Film Festival di Torino.
Un paio di anni dopo la presentazione dell’omonimo cortometraggio, il regista propone un lungometraggio che non è altro che lo sviluppo di quello stesso embrione nato “per caso” come lo stesso Van Den Berg ci confida, e che le grandi imprese produttrici di pesticidi hanno cercato di ostacolare.
Tutto nasce dal tema del film: la dannosità dei pesticidi.
Con ottimo spirito documentaristico il regista ha viaggiato in varie parti del mondo filmando delle interviste e delle immagini per testimoniare come tutti sappiano della dannosità di pesticidi come ad esempio il DDT, ma nessuno faccia nulla per arrestarne l‘utilizzo.
Imperterrito il nostro regista ha proseguito una più ampia stesura del progetto di partenza e con l’aiuto della ragazza inuit Pipaluk Knudsen-Ostermann ha portato a termine la raccolta di materiale sul tema, arrivando a vincere ben dodici premi cinematografici in giro per il mondo oltre ad aver aperto una piattaforma sempre più frequentata come è il sito silentsnow.org, nata con l’intento di fornire assistenza e creare un punto di denuncia per tutti gli abusi che giornalmente derivano dall’utilizzo sconsiderato e assassino che dei pesticidi viene fatto.
La straordinaria capacità di Van Den Berg è quella di limitare al minimo i dati tecnici in riferimento al tema trattato, portando la macchina da presa direttamente nei luoghi interessati, intervistando particolari personaggi con storie importanti alle spalle. Anzi, fa ancora di meglio, escludendo l’intervista introduce il conviviale dialogo tra la nostra condottiera Pipaluk e le persone che di volta in volta si prestano a narrare le loro interessanti storie di battaglie e speranza.
Così facendo è stato realizzato un documentario pienamente cosciente d’essere tale, ma che elude l’impostazione classica trita e ritrita dell’intervista agli scienziati di turno, intercalata ai catastrofici dati atti a spaventare lo spettatore.
I dialoghi che Van Den Berg propone sono storie vere che le persone raccontano con trasporto emotivo ma non con disperazione, così come l’occhio del regista ben si guarda dal creare facili e ruffiani sentimentalismi e mantiene il film sempre su un livello di pura divulgazione, intrinsecamente di parte ma formalmente obiettivo.
D’altronde un documentario che sommerge di dati tecnici può farci paura, ma sicuramente ci riempie la testa di informazioni che non sempre comprendiamo a fondo e dalle quali ci sentiremo sempre tenuti a distanza, mentre parlare delle persone con le persone è il miglior modo per limitare al minimo lo scarto dovuto all’intermediazione del mezzo cinematografico, coinvolgendo direttamente uno spettatore che crederà con più facilità a quanto proposto.
È inutile sapere che tutti gli scienziati del mondo da decenni si confrontano accanitamente per sapere se A incide su B e in che modo. È sicuramente molto più importante constatare che in tutte le aeree dove viene utilizzato sistematicamente un determinato pesticida piuttosto che un altro, la gente si ammala e muore senza un apparente motivo. È questo che fa accrescere la sensibilità di chi si rapporta a ciò, non i freddi numeri.
Questa ottima impostazione del documentario è di sicura matrice antropologica che non è altro che la formazione del regista. Ed è davvero un bene, perché il discorso non si perde a contrastare le grandi industrie scagliandosi contro di loro, ma s’interessa primariamente a come le persone e l’ambiente subiscono quest’indecenti soprusi.
Le fondamenta antropologiche emergono sin dai primi istanti dell’opera, quando facciamo la conoscenza con la protagonista Pipaluk che dopo pochi minuti passati tra i ghiacci della Groenlandia viene straordinariamente catapultata con i suoi usi e le sue tradizioni nel bel mezzo del continente africano a contatto con la popolazione Masai.
Ed ecco un altro degli aspetti geniali di Silent Snow: la dimostrazione, per certi versi empirica, dell’interconnessione ambientale, anche laddove gli ambienti posti a confronti sono lontani migliaia e migliaia di chilometri tra loro.
Da ciò emerge, per fare un esempio, che tanto gli Inuit quanto i Masai mangiano soltanto carne e non verdure a causa delle loro necessità corporee [ad esempio assorbire il grasso dalle foche e dalle balene], un po’ in barba a tutti quei vegetariani dell’ultima ora che vogliono dipingere l’essere umano come vegetariano per natura.
Ogni esempio riportato è finalizzato a stabilire un legame tra popoli e ambienti, perché tutto incide su tutto, in un unicum che ci lega indissolubilmente con tutto ciò che ci circonda.
Purtroppo questo è un concetto che nella nostra società materialista e fortemente improntata al fittizio accrescimento dell’ego si fatica a far comprendere a molte persone, ed ecco il perché di scempi come quelli che in questo film vengono proposti. Pochi uomini vogliono sempre di più, infischiandosene se tremila esseri umani muoiono o altrettanti nascono menomati soltanto per garantire a loro un profitto sempre maggiore.
Silent Snow si è dunque presentato come uno dei film più interessanti in concorso alla 15a edizione di questo pluriennale festival che, come in questo caso, sa sempre regalarci alcune piccole perle che a causa di uno scellerato sistema di distribuzione, difficilmente avremo modo di rivedere.
Danilo Cardone
L’articolo tradotto e pubblicato sul sito ufficiale del film: http://www.silentsnow.org/en/393
Info Molto utile. Spero di vedere presto altri post!