Hugo Cabret – Martin Scorsese [2011]
Le voyage dans le Cinema
Hugo è un bambino, un orfano che dal padre ha ereditato la passione per i marchingegni meccanici, oltre a un misterioso taccuino e un vecchio automa…
Da qui Martin Scorsese, seguendo quanto ideato dalla fantasiosa mente di Brian Selznick, prosegue la narrazione intrecciando un’avventura fantastica tutta ambientata nei mai così estetizzati spazi della stazione di Montparnasse a Parigi, che sfocia ben presto in una fantastica ricerca all’inseguimento del genio Georges Méliès e delle sue opere.
Georges Méliès è il padre del cinematografo al fianco dei fratelli Lumière. Se infatti i Lumière hanno avuto il merito di inventare tecnicamente l’immagine in movimento secondo quella forma artistica che ancora noi oggi chiamiamo “cinema”, Georges Méliès ha avuto lo straordinario merito di uscire sin da subito dalla gabbia espressiva del genere documentaristico, punto di forza dei Lumière, trasportando sul grande schermo gli spettacoli d’illusionismo e magia che fino ad allora facevano il pienone nei teatri, aggiungendo ad essi tutte le meravigliose possibilità che l’arte cinematografica poteva garantire. Ecco dunque come sono nati gli effetti speciali nel cinema.
Scorsese, che gran cinefilo non ha mai nascosto d’esserlo, non si è lasciato sfuggire questa ghiottissima occasione e ha così reso omaggio a tutto il cinema delle origini, e in particolar modo proprio a quel gran maestro di scena che ha saputo per primo modificare l’onirico immaginario collettivo tramite l’immagine cinematografica.
Le Voyage Dans La Lune del 1902 è il film che più volte torna citato in Hugo Cabret, ma non è l’unico e, anzi, a un certo punto del film si ripercorre proprio una breve storia del cinema delle origini mentre in un altro punto i due protagonisti finiscono in un cinema dove stanno proiettando Safety Last! [Preferisco L’Ascensore, il titolo tradotto in italiano] con lo spassoso Harold Lloyd che, oltre a costituire una acuta citazione, dà all’intera opera una contestualizzazione temporale essendo uscito per la prima volta nei cinema nel 1923.
Scorsese mette in scena in questo film una nuova fantasmagoria filmica che quasi rende irriconoscibile il suo stile, ma che affonda pienamente le radici proprio nel suo amore per il Cinema.
L’intellettualità delle sue scelte non si ripercuote soltanto a livello citazionistico sull’opera ma anche sul modo d’inscenarla.
Primo fra tutti è da notare l’uso del 3D. Non un semplice accessorio tanto per appicciare sulle locandine la dicitura, ma un vero e proprio uso innovativo di questa tecnologia che dopo i fasti di alcuni momenti felici di Coraline e soprattutto dopo la riuscita esagerazione di Avatar mai aveva goduto di nuova linfa. In Hugo Cabret il regista newyorkese sfrutta la tridimensionalità per sfondare gli spazi, per attraversarli e per immergere lo spettatore all’interno della stazione parigina, quasi fosse lui stesso parte del pittoresco mondo inscenato.
Anzi, proprio a questo proposito è necessario notare come i siparietti tra i personaggi, il profilo colorimetrico e alcune scelte registiche, soprattutto nel prologo al film, parrebbero, se non sapessimo già l’informazione, diretti dal miglior Jean-Pierre Jeunet quasi in un film che incidentalmente incontra gli spazi e il mood che contraddistinguevano il favoloso mondo della meravigliosa Amelie Poulain.
Ma Scorsese sa fare di più e a documentare le vicende che si svolgono in questo fiabesco contesto mette in campo una macchina da presa che si muove negli spazi con un’agilità mai vista prima al cinema. I funambolismi della cinepresa fanno a tratti sorridere lo spettatore per la loro arditezza e per la loro straordinaria riuscita.
La fotografia, va da sé, è uno dei punti di forza di questo film che fa dello spettacolo visivo cinematografico una nuova meraviglia in grado di lasciare lo spettatore a bocca aperta, quasi eliminando in un sol colpo tutto il callo del bagaglio visivo che lo spettatore medio ormai ha.
Un prodigio filmico, dunque, che se rasenta la perfezione nell’estetica perde colpi proprio nella messinscena per colpa d’uno Scorsese che non sa tenersi nulla per sé e che deve sempre puntigliosamente sottolineare con la parola ciò che è chiaro persino a un bambino di due anni. La meraviglia del Cinema è così smorzata dall’ovvietà commerciale del regista che si affossa con le sue stesse mani.
È un vero peccato che può soltanto essere giustificato da una volontà di avvicinare il maggior numero di persone possibili non soltanto al suo cinema, ma al Cinema stesso e alla sua storia.
Insomma, Scorsese fa qui un po’ la figura dell’imbonitore che possiede dei veri prodigi ma che invece che farli applicare a qualcosa di veramente valido, si limita a fargli ripetere alcuni numeri da circo di sicuro effetto oggi, ma forse non più domani.
In questo meraviglioso teatro Scorsese sceglie di far recitare molti volti noti e, bisogna ammetterlo, il buon esito dell’opera è garantito anche dalla loro prova.
Innanzitutto c’è il bambino protagonista, un Asa Butterfield che regge tanto bene sia le scene più dinamiche che i primi piani con sguardo in macchina che il regista gli cuce addosso quasi fosse la scena iniziale [o finale, a discrezione dell’operatore di sala] che nel 1903 apriva [o chiudeva] The Great Train Robbery di Edwin S. Porter.
Poi c’è Ben Kingsley in una delle sue più riuscite interpretazioni, ma c’è spazio anche per un sempre tetro [ma benevolo. forse.] Christopher Lee e per un ottimo ma sfuggevole Jude Law nel ruolo dello sfortunato padre inventore del ragazzino protagonista. Non particolarmente entusiasmante Chloë Grace Moretz nel ruolo della ragazzina co-protagonista, mentre perfettamente vignettistico risulta Sacha Baron Cohen nel ruolo dell’ispettore di stazione che fa un tutt’uno con il suo doberman e che assieme creano i momenti più divertenti del film con evidenti richiami alle gag proprie delle slapstick comedy. Altro volto noto è quello di Emily Mortimer perfetta nell’interpretare la parte più facile del mondo come fioraia della stazione.
Hugo Cabret nel suo poderoso impianto produttivo è riuscito a conquistarsi ben cinque riconoscimenti all’ultima edizione dei premi Oscar [miglior fotografia, scenografia, sonoro, montaggio sonoro ed effetti speciali] nonché è riuscito a conquistare la statuetta come miglior regia ai Golden Globe.
C’è poco da aggiungere, Hugo Cabret è un film che deve essere visto per capire cosa sia l’arte tecnica cinematografica oggi e cosa abbia significato il cinema durante i suoi primi anni di vita.
Danilo Cardone