Frenzy – Alfred Hitchcock [1972]
Apologia di uno sfigato
Penultimo film di Alfred Hitchcock nonché opera del ritorno in landa britannica, terra delle origini del regista, racconta la storia di un uomo falsamente accusato d’essere il temuto assassino della cravatta.
Questo è il vero atto di chiusura di una carriera ai massimi livelli possibili in ambito cinematografico.
Non è soltanto un’altra perfetta opera del maestro del brivido bensì è un’opera che dimostra tanto l’inarrivabile maturità registica di Hitchcock quanto la sua freschezza d’idee e di capacità d’interpretare e stare al passo con i tempi.
Frenzy è un film di Alfred Hitchcock, e fin qui nessuno può discutere. Tutti i temi a lui cari tornano con forza per tessere un intreccio di sicuro impatto nello spettatore. La macchina da presa si muove con una sapienza annosa ma non stantìa, il montaggio è centrale come sempre soprattutto nei punti cruciali del film. Anche il rapporto con la madre è accennato, quasi lui stesso si stesse omaggiando in onore della splendida carriera effettuata, e poi gli assassini, l’intreccio amoroso, la fuga dell’innocente e la polizia che indaga.
Intrigo Internazionale, Psycho, Nodo Alla Gola, Notorius, Il Delitto Perfetto e perfino Blackmail, Il Ricatto, in Frenzy emerge davvero tutto il carattere che il regista ha saputo crearsi nel corso di tanti anni d’innovazione.
Al contempo però, ecco che Frenzy è un film nuovo, totalmente nuovo. Sarà l’aria londinese, città ritratta contemporanea ma sempre un po’ retrò, ma l’ispirazione che si avverte guardando il film difficilmente si addice a un regista settantatreenne. È il fresco spirito di un giovane artista attento alle mode e ai modi di fare a contraddistinguere l’opera.
La classica eleganza dei precedenti personaggi hitchcockiani, alcuni moralmente non troppo impeccabili ma pur sempre dotati d’un codice d’onore e di rispetto per il prossimo, pare qui diradarsi come la nebbia londinese quando spunta il sole mattutino. Il protagonista è infatti un giovane scapigliato che non frequenta lussuosi hotel monegaschi come Cary Grant o James Stewart ma che viene licenziato in apertura di pellicola da un sudicio pub del sobborgo cittadino. E il suo carattere è scontroso, molto poco elegante e fondamentalmente violento. È un meraviglioso personaggio, ma soltanto se inserito nel contesto di ribellione societaria post-sessantottino.
E c’è di più! L’eleganza e il perbenismo in quest’opera sono rilegate principalmente al personaggio fraudolento e meschino che rimane ancorato a modi antiquati e sorpassati solamente per darsi un tono all’apparenza di chi l’osserva, ma che in realtà nasconde un animo cupo e represso come quegl’ipocriti incappucciati che Dante incontra nel canto XXIII dell’Inferno nella sua Commedia, avvolti in lucentissimi manti dorati che non sono altro che il futile rivestimento di un interno pesantemente piombato.
E se il protagonista non è altro che uno “sfigato” preso in mezzo da quella che qualche contemporaneo definirebbe “macchina del fango” mossa contro di lui dal suo appassionato antagonista, anche il regista del film rimane preso in mezzo a questo perverso meccanismo societario e sa sporcarsi le mani.
È questo un bene? Difficile dirlo già per la critica dell’epoca che appuntò al grande Hitchcock soltanto queste divagazioni che poco si confanno al suo sobrio stile registico e teorico. Fatto sta che, in linea con il suo stile o meno, Hithcock non esita a mostrarci un delitto malgrado tenti di mascherarlo con un montaggio sufficientemente frenetico, i cadaveri in piena rigor mortis e persino, udite udite, dei nudi integrali!
Hitchcock rinnega Hitchcock, dunque? Probabilmente no. La rivoluzione si fa sovvertendo vetusti dogmi, e la coerenza va dimostrata nel modo di pensare e non nel pensiero.
D’altronde l’utilizzo della profondità di campo, le carrellate e l’onnipresente ironia [qui davvero riuscita] ci ricordano ogni istante d’essere di fronte a un film del cineasta che ha saputo dirigere alcuni fra i più validi e godibili film della storia del cinema, e il rappresentare sangue, bellezze non integerrime e scortesia non è una caduta di stile ma l’ultimo grande rinnovamento, ulteriore pilastro portante d’una cinematografia che mai ha giaciuto sugli allori.
Non c’è successo commerciale che tenga: Frenzy è l’ennesimo riuscitissimo miscuglio di suspense e ironia, thriller e amore. Lunga vita alle opere di Alfred.
Danilo Cardone