Kynodontas – Giorgos Lanthimos [2009]
Καλή τύχη, Eλευθερία!
Film vincitore della sezione Un Certain Regard alla 62a edizione del Festival del Cinema di Cannes nel 2009 nonché candidato come miglior film straniero agli Oscar 2011, Kynodontas, film greco che pur non si rivolge a un vasto pubblico, non ha faticato a non trovare spazio nelle sale italiane.
Il film è difficile. È difficile da seguire ma soprattutto è difficile da mandare giù.
La storia è incentrata su una famiglia dominata da un padre gentile e benevolo nell’apparenza, ma padrone nei fatti, che segrega le due adulte figlie femmine e il figlio maschio all’interno delle mura domestiche, con il solo permesso di andare nel giardino della villa, soltanto nelle ore diurne.
Ciò che ne deriva è una situazione di completo isolamento e proibizionismo che per lo spettatore non abituato a rapportarsi a situazioni familiari così estreme apparirà incredibile e inaccettabile, ma che i protagonisti della scena vivranno come [apparentemente] normale.
La creazione di un nuovo mondo ad hoc, arrogantemente modellato secondo il desiderio di protezione maniacale di un padre/marito unico membro della famiglia a poter avere contatti con il mondo esterno, è totalizzante e ha inizio filmicamente già dalla prima scena, nella quale si palesa evidente e immediatamente folle l’imposizione ai membri familiari di un nuovo linguaggio. Le parole comuni evidentemente considerate “a rischio” assumono nuovi significati più consoni ed edificanti seguendo la repressiva idea di perfezione familiare del singolo detentore del potere. Così, per esempio, ecco che “telefono” diventa il termine rappresentante una normalissima saliera, mentre il vero telefono giace nascosto dietro a una scatola in un comodino di una stanza preclusa ai figli, e via dicendo su questa linea.
E’ questa pura follia?
Si, certamente. Ora però si ponga l’attenzione sulla nostra vita quotidiana. La nostra vita, nella società in cui ci troviamo oggi. O di chiunque altro essere umano in una qualunque altra società. In ogni società esistono delle regole, delle limitazioni, delle leggi. Queste leggi sono state create da uomini, e quindi in quanto creazione della mente umana sono soggette ad errore. Eppure, condizionano la nostra vita attimo dopo attimo, istante dopo istante. Noi siamo costretti a sottostare a delle regole create per chissà quale ragione su chissà quali basi, soltanto perché ci viene imposto di agire in una certa maniera. Ma se ciò che ci viene escluso fosse in realtà migliore di ciò che noi ora abbiamo?
E’ ancora pura follia, ora?
Noi agiamo ogni giorno in conseguenza di regole per le quali non ci siamo mai posti il dubbio del perché esistano.
Ciò che rende non auspicabile una situazione familiare di quel tipo è quindi solo la libertà di scelta? Anche la componente interpersonale gioca un pesante ruolo in questo senso. Se ogni azione nel mondo esterno a quello a noi permesso è vietata, allora sarà vietato anche qualsiasi rapporto con persone abitanti il mondo esterno.
Nel film l’unico contatto di questo tipo lo può avere il figlio maschio con una ragazza appositamente pagata dal padre al fine di soddisfare gli impulsi sessuali del ragazzo. Ma oltre a questo contatto fisiologico?
La famiglia è quindi un nuovo universo onnicomprensivo dove ogni regola è stata riscritta e dal quale è impossibile fuggire perché troppo vasto e ampio rispetto alle nostre limitate conoscenze. Il detentore del Tutto famigliare [il padre] è una semidivinità inattaccabile sotto alcun aspetto. Ogni membro lo rispetta e lo riverisce.
L’aspetto che davvero stupisce guardando questo film è la tagliente capacità che il regista ha di rendere sensazioni e luoghi.
Tutto è così freddo e distaccato da creare apatia e abulia persino nello spettatore, impotente voyeur dei soprusi perpetrati dal padre e assecondati, quasi desiderati, dagli altri.
Il tutto in un’atmosfera serenamente claustrofobica e sinistramente placida che crea un continuo stridore difficilmente razionalizzabile.
A ciò si devono aggiungere le scene, così crude come sono state girate. Le scene di sesso [quasi] esplicito si sprecano e la sottomissione della donna è attuata dalla donna stessa forse più per gioco che per necessità, richiamando direttamente ma molto più aspramente l’idilliaco rapporto fraterno tra l’eterne recluse protagoniste de Il Giardino Delle Vergini Suicide di Sofia Coppola del ’99.
Inoltre le poche scene di violenza avvengono senza mezzi termini proprio a un passo dall’obiettivo della macchina da presa che ha funzione di silente testimone di ciò che accade dentro la casa. Alcune scene sono fortissime, davvero difficili da dimenticare.
Non ci troviamo di fronte a un semplice film thriller, o a un semplice film drammatico, o a un poliziesco o ad altri generi classici. Kynodontas è un horror psicologico di rara potenza.
Purtroppo l’eccessiva lentezza dell’opera penalizza fruizione e coinvolgimento con i fatti inscenati.
La tecnica essenziale, fredda, scevra da appassionati virtuosismi tecnici è invece funzionale, ben calibrata anche se non eccelsa.
Destino diverso ebbe il ben più famoso The Village dell’indiano Shyamalan nel 2004. Con un cast composto da star hollywoodiane [William Hurt, Joaquin Phoenix, Adrien Brody, Sigourney Weaver] e un’immagine molto curata, ai limiti del fiabesco, riuscì a ottenere visibilità e successo internazionale. Il principio, in fondo in fondo, era un po’ lo stesso che ritroviamo in Kynodontas. Là era il villaggio, qui è la casa, ma in entrambi i casi siamo in presenza di una comunità di persone esclusa dal resto del mondo per il [saggio? arrongante? malato?] volere di pochi.
Ma per Lanthimos il successo commerciale non sembra essere l’obiettivo primario, e la sua impostazione da “cinema d’autore” è più che evidente e volutamente rimarcata, con quelle sue inquadrature sempre un po’ fuori fase e quegli sguardi persi nel vuoto un po’ qua e un po’ là.
A coronamento dell’opera c’è un finale non solo aperto, ma ferocemente dilaniato, dagli echi marcatamente haneckiani, che registicamente va a costituire, probabilmente, la scena più riuscita dell’intera opera.
Kynodontas non sarà mai un blockbuster, ma se siete soliti apprezzare un cinema rarefatto e disturbato, non perdetevelo.
Danilo Cardone