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This Must Be The Place – Paolo Sorrentino [2011]

20 ottobre 2011

This must be replaced

This Must Be The Place

This Must Be The Place è il “film americano” di Paolo Sorrentino.

Dopo il biografico Il Divo del 2008 ispirato alla storia di Giulio Andreotti, ma soprattutto dopo il latente [ma non per questo assente] Le Conseguenze Dell’Amore del 2004 con un Toni Servillo strepitoso, Sorrentino sbarca addirittura oltreoceano con la sua elusiva macchina da presa per poter immortalare il significativo volto di un apaticissimo Sean Penn nei panni di una rockstar ormai eclissatasi da anni dai palchi.

Purtroppo This Must Be The Place è tutto fumo e niente arrosto.

Il [discutibilissimo] look di Penn ispirato alla figura di Robert Smith dei The Cure non è di per sé il più convincente dei trucchi portati sul grande schermo. Dietro la patina estetica però, se ne nasconde un’altra che dai trailer non può emergere con forza come per il bizzarro aspetto estetico del protagonista, ed è la bravura compositiva del regista nei confronti dell’immagine.

Sorrentino è straordinario, talvolta, nel fissare geometrie e simmetrie, utilizzando tanto i piani sequenza quanto rapidi montaggi, tanto lasciando la macchina da presa ferma a cogliere l’accaduto quanto muovendola su e giù e a destra e a sinistra con dolly e carrelli.

Se però tutto ciò è convincente nella forma, non lo è assolutamente nella sostanza.

Manca un qualsivoglia stralcio di unitarietà dell’opera.

Cosa lega gli episodi tra loro? La figura di Sean Penn.

Cosa colpisce maggiormente in ogni episodio? La figura di Sean Penn.

Attorno a chi ruota ogni episodio? Alla figura di Sean Penn, ovviamente.

Insomma, This Must Be The Place, quella pochissima sostanza che può vantare, la deve tutta al suo attore principale, come sempre eccelso catalizzatore d’ogni avvenimento, persino laddove non ne esistono.

La trama che tocca vari temi come la solitudine, la disillusione, il nazismo, la famiglia, la ricerca della felicità, la ricerca del sé e ancora una manciata di luoghi comuni, non ha sviluppi né nel soggetto né nella sua coscienza, e tantomeno in quella dello spettatore. Se poi a ciò aggiungiamo uno dei finali più banali degli ultimi 20 anni, la frittata è fatta.

Ed è un vero peccato, perché la forza dell’immagine e del protagonista si sarebbero potute sfruttare decisamente in maniera cinematograficamente più performante.

E non si dimentichi la fotografia! A tratti quasi commovente…

Insomma, il film manca di un punto focale sul quale concentrare l’attenzione oppure, per contro, ci sono troppi flebili punti focali mal delineati che non ci permettono di astrarre in toto la mentale necessità di comprensione e rapporto tra gli elementi in causa.

Da segnalare sono le musiche, in primis quelle dell’ex Talking Heads David Byrne al quale è riservato il tempo dell’intera esibizione della canzone che dà il titolo al film e che nelle altre tracce si avvale della collaborazione dell’infaticabile Will Oldham, recentemente noto anche con lo pseudonimo Bonnie Prince Billy.

Musica indipendente, insomma, proprio come vorrebbe porsi il film di Sorrentino: un’intima poesia dedicata alle masse.

Ma Sorrentino non è Ungaretti né tanto meno Wenders al quale pare aver guardato come fonte d’ispirazione in un bellissimo film come è Paris, Texas dell’84, e la sua poesia ristagna nell’intenzioni. Fortunatamente non siamo in presenza di una pretenziosità à la Terrence Malick di The Tree Of Life, i propositi del regista italiano paiono molto più autentici e sinceri, ma il risultato è deludente.

This Must Be The Place

This Must Be The Place è un film che ci si dimentica d’aver visto già a pochi minuti dall’uscita dalla sala cinematografica. Siamo comunque in presenza di un film che sà dare qualcosa allo spettatore, ma, ahinoi, è soltanto noia.

4

Danilo Cardone

20 commenti leave one →
  1. mellie permalink
    20 ottobre 2011 14:08

    ‘Inchia quanto sei severo!

    • 20 ottobre 2011 19:45

      Ho scritto questo articolo solo per te. Ma non ho potuto scrivere altrimenti. Mi spiace. Mi rifarò con un altro film di tuo gradimento. ^_^

      • mellie permalink
        21 ottobre 2011 22:32

        Tu non ci hai trovato qualcosa di Jarmush (ad esempio quello di broken flowers) e una punta di Sophia Coppola (ad esempio quella di lost in translation) ?

      • 22 ottobre 2011 01:25

        Verissimo! Acuta osservazione, cara mellie!
        Il Jarmusch di Broken Flowers, sopratutto! Anche se lì ho trovato maggiore omogeneità nella storia e coerenza nel personaggio. In This Must Be The Place la presenza-assenza del protagonista mi è risultata insignificante, e non immedesimante.
        E’ vero, ci sono persino echi del fenomenale Bill Murray di Lost In Translation. Però, a mio avviso, là c’era la poesia della mancanza dello stimolo vitale, dell’intima unione con altre forme di vita. Nel film di Sorrentino la sofferenza apatica del protagonista rimane tutta intrappolata sulla schermo. E’ Cheyenne a non reagire agli stimoli, non noi.

        Tu che dici? 🙂

      • mellie permalink
        22 ottobre 2011 09:57

        Beh, sì, ci sono delle sostanziali differenze.

      • mellie permalink
        22 ottobre 2011 10:00

        Il punto è che io non trovo questo film “inferiore” ai suoi immediati riferimenti 😛

      • 22 ottobre 2011 10:54

        Je sais. 🙂

  2. 20 ottobre 2011 15:58

    Volevo proprio andarlo a vedere!
    Ho letto critiche molto positive al riguardo ed ero quindi interessata. Dopo questo post non so che aspettarmi…

    • 20 ottobre 2011 19:47

      Vai vai! non precluderti alcuna visione!
      A me non è piaciuto, però non è un film terribile. O meglio, c’è a chi è piaciuto. ^_^

      Comunque la maggior parte della critica concorda nel stroncarlo. Sorrentino ha fatto buoni film. Anche qui si dimostra buon direttore di macchina da presa. Ma non regista completo.

      Fammi poi sapere cosa ne pensi
      ^_-

  3. 20 ottobre 2011 21:09

    concordo con te! a lot of noia! 🙂

  4. Cecilia Russo permalink
    20 ottobre 2011 22:43

    per la prima volta in vita mia sono d’accordo con tutto ciò che hai scritto! noto con piacere che anche tu hai apprezzato la fotografia! anche io pochi giorni dopo averlo visto mi sono resa conto che non mi era rimasto nulla. trovo che certi argomenti siano affrontati in modo semplicistico e un po’ banale, ad esempio: come si può parlare di shoah in questi termini? sarebbe potuto emergere qualcosa di interessante se solo il regista avesse, ad esempio, fatto incontrare padre e figlio.. non mi convince. anche il tema del suicidio dei due ragazzi è annunciato ma poi il film cambia rapidamente direzione. come già dissi in tempi non sospetti se fosse uno studente gli darei un bel 6 per l’impegno ma con la dicitura ” ha le capacità ma non si applica!” si poteva fare decisamente di meglio! complimenti cinefobie questa recensione l’ho finalmente letta dall’inizio alla fine tutta d’un fiato!

  5. 23 ottobre 2011 01:51

    Avevo letto questa recensione prima di andare a vedere il film. Stasera l’ho visto.
    Ma forse io ho visto un’altra storia: una storia di crescita, di possibilità, di opportunità di cambiamento. Non la ricerca del sé, ma un luogo per il sé, non un luogo comune, ma molto intimo e privato che traspare nel timbro più netto della voce di Cheyenne all’aeroporto. “Non è vero, ma sono contento che tu lo dica”. E’ la seconda volta che ripete questa frase, ma è qui che ho visto la vera conclusione del film.
    Quanto bisogna invecchiare per accettare la realtà? No, questo non è un film per giovani.
    Ed io mi sento maledettamente vecchia stasera.

    • 23 ottobre 2011 11:20

      Forse varia anche molto in base alle esperienze, come si riceve questo film. Non so, per me era tutto estremamente scontato. cose già dette e ridette milioni di volte.
      Per fortuna l’esperienza cinematografica è sempre intimamente personale.
      ^_-

  6. 24 ottobre 2011 19:30

    Eccomi qui, dopo la visione del film. 😀

    Premesso che nutro una grande passione per Sean Penn, la sua interpretazione del film è magistrale. Risulta così convincente da rendere difficile immaginarselo in altri ruoli.
    E’ vero che il film gira tutto intorno a lui, ma penso che non avrebbe potuto essere altrimenti. La sua centralità è fondamentale per lo svolgersi delle vicende e lo sviluppo dei personaggi con i quali entra in contatto. Lui da solo farebbe il film secondo me. Comunque è vero pure che certe situazioni avrebbero potuto essere indagate meglio (per esempio il suo passato da rockstar che viene solamente accennato ma che ha una discreta importanza poichè determina la sua condizione di depressione/noia) e certi rapporti approfonditi di più (con la ragazza che lavora al bar, con lo stesso padre, forse).
    Ma nel complesso è un bel film, merito, a mio avviso, di una regia che si muove benissimo.

    • 24 ottobre 2011 19:55

      Concordo con te sulla possibilità d’indagare meglio le situazioni. avrebbe dato maggior spessore a un personaggio del quale io personalmente non riesco ad appassionarmi.
      😉

  7. nehovistecose permalink
    26 ottobre 2011 13:38

    Nooooo! 🙂 è il primo film in cui io e te siamo in massimo disaccordo!

    http://nehovistecose.wordpress.com/

    • 26 ottobre 2011 13:48

      Eh.. hai evidentemente sbagliato quella recensione! Dai, ogni tanto può succedere anche ai migliori… ihihih =P

      Parlando seriamente, hai fatto una bella recensione. In questi giorni si sprecano le parole vaghe su questo film. Non condivido, ma apprezzo. 😉

  8. totorobot permalink
    21 ottobre 2012 10:04

    Nemmeno io sono d’accordo. La storia è quella di un uomo che riprende a crescere dopo una pausa troppo lunga. Non è vero che non c’è arrosto, ma la ricetta di Sorrentino è davvero diversa da quella -provinciale e conservatrice- di quasi tutti i registi italiani.
    Sono andato a rivederlo in lingua originale, e ti consiglio di fare lo stesso.
    A parte questo, complimenti per il tuo lavoro. Verrò a leggerti spesso.

    • 21 ottobre 2012 12:14

      Grazie mille, sarai il benvenuto.

      Hai ragione, la ricetta è diversa, personale, e per questo già apprezzabile. Purtroppo io in questa diversità riscontro più forma che sostanza, ma non importa. Il cinema rimane esperienza ed è giusto che ci sia diversificazione di percezione delle medesime opere.

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