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Shutter Island – Martin Scorsese [2010]

12 settembre 2011

Schöne Träume

Shutter Island

Su un’isola che è al contempo penitenziario e manicomio viene inviato un detective della FBI per risolvere il caso di una paziente scomparsa. Ma nulla è come sembra…

A quattro anni di distanza dal banale e preconfezionato The Departed, a sei da The Aviator e a otto da Gangs Of New York, Martin Scorsese riprova a giocare la carta Leonardo DiCaprio come protagonista, in questo thriller dal carattere alquanto allucinato.

E l’azzardo paga. Malgrado il look di DiCaprio non sia poi così tanto differente sopratutto negli ultimi tre film, e il rischio di stufarsi del personaggio ancor prima di vedere il film sia dietro l’angolo, Scorsese riesce in quest’occasione a mettere in piedi una struttura che nella sua complessità e totalità si differenzia dalla produzione contemporanea [sua e non].

Il vero punto di forza dell’opera è la narrazione. L’intreccio è un vero intreccio, nel senso che gli episodi si concatenano fra di loro, sviando la linearità temporale della successione degli eventi. I colpi di scena, dunque, non mancano, e lo spettatore non faticherà a immergersi nell’indagine che caratterizzerà buona parte del ruolo dell’ex Titanic DiCaprio.

Bisogna ammetterlo: uno Scorsese così in forma non lo si vedeva da molto tempo, oserei [anche se in altri modi] da Quei Bravi Ragazzi del ’90, dove Robert De Niro, Ray Liotta e Joe Pesci facevano un po’ alto e basso cosa volevano in quel di New York.

Shutter Island

La trama di Shutter Island di per sé non è la più innovativa che si sia mai vista prima ma è raccontata in maniera estremamente convincente, con le informazioni distillate con i tempi esatti con le quali devono essere somministrate alle spettatore. E’ un vero procedimento di ἀλήθεια, alétheia, di svelamento graduale e inarrestabile della verità ai nostri occhi.

Occhi che sono, come quelli del protagonista, tanto spalancati e incamerano troppo luce, quanto chiusi, otturati, e non vedono ciò che è nella realtà palese.

D’altronde questo aspetto è già evidenziato nel titolo: Shutter Island. Island significa facilmente “isola”, mentre Shutter nel gergo fotografico è traducibile come “otturatore”. Qualcosa che impedisce una costante visione della realtà.

Questa avvincente trama thriller, si mescola però al carattere allucinato e paranoico della forma, trasformando così il film da un semplice poliziesco in un indagine più sul sé che sui fatti.

Gli Uccelli di Hitchcock del ’63 sono un possibile riferimento per Scorsese. La catastrofica impossibilità di fuggire dall’apocalisse affonda le radici proprio nel tardo film hitchcockiano, ma non solo. La fotografia, sia a livello d’inquadrature che d’atmosfera, oltre che di profilo colorimetrico, sono rapportabili al thriller horror del ’63.

Shutter Island

Ma oltre alla parte opprimente nei confronti del personaggio, ce n’è anche una d’avventura e d’azione che, a mio avviso, si rifà direttamente a un altro capolavoro di Alfred Hitchcock: Intrigo Internazionale. La seconda parte, quella che porterà alla fuga spericolata attraverso l’orrido pendio dei Monti Rushmore, non è paragonabile alla discesa spericolata che Di Caprio fa sulla scogliera nella strada per il faro?

Ad accostarsi al thriller, all’horror e all’avventura esiste però il carattere assolutamente psicologico che va via via definendosi con il passare dei minuti. Dalla confusione degli eventi si passa alla confusione della mente, attraversando allucinazioni, sogni e immaginazioni.

E’ un onirismo deviato, su più fronti, che trova le sue ragioni più profonde all’interno della mente stessa.

Sarà per quest’impostazione per certi aspetti bergmaniana, che nel cast troviamo l’ormai smaliziato Max Von Sydow, che nel ’57 amava giocare partite a scacchi con la Morte?

In ogni caso, dopo le minacciose premesse della prima parte del film, nella seconda assistiamo a una vera e propria immersione nella psiche e nei suoi meandri, che nella forma assumono architetture dagli echi marcatamente escheriani e che nell’atmosfera propongono soltanto desolazione e inconfessabili paure.

Tutte le vicende si consumano nello spazio chiuso dell’isola manicomio/penitenziario.

Shutter Island

Era il 1920, il cinema era muto e le produzioni più importanti non erano ancora state traslocate ad Hollywood ma avevano già abbandonato la culla francese e l’adolescente [e non adolescenziale] cinema torinese. La Germania aveva registi di primissimo livello e le teorie psicologiche freudiane avevano già trovato varie rappresentazioni cinematografiche, nei termini della paura. Ma è proprio nel ’20 che Robert Wiene firma il capolavoro, manifesto dell’intero cinema espressionista tedesco: Il Gabinetto Del Dottor Caligari. Ed è esattamente qui che le riflessioni sulla personalità e sui disturbi psichici prendono forma cinematografica.

L’inarrivabile capolavoro di Wiene è evidentemente il più grande ed incontrastato riferimento per l’isola otturatrice di Scorsese. Ed è un bene, perché una piena godibilità della forma unita all’inspiegabile imprevedibilità della psiche, non è pane quotidiano nella sale cinematografiche di oggi.

Le scenografie allucinate e distorte del Gabinetto Del Dottor Caligari invece, non sono qui copiate né palesemente citate. E’ l’Inception di Christopher Nolan [ancora con DiCaprio, ancora con lo stesso look] che le ripropone in versione tecnologicamente aggiornata. Ma è anche l’Inception di Nolan che se ne infischia totalmente della parte psicologica, in favore di una narrazione tristemente e noiosamente lineare.

Se c’è da fare un appunto al film di Scorsese, è uno di quelli che si possono fare anche al precedente The Departed, e riguarda il montaggio. Un montaggio cosparso di evidenti errori, troppo grossolani per essere sviste, troppo poco marcati per essere voluti.

Shutter Island

Ma con Shutter Island possiamo finalmente rivivere indagini vecchio stile, e paure e visioni che attanagliano da sempre l’uomo per le quali, come suggerisce il medico interpretato da Ben Kingsley, talvolta sono componente traumatica atavica e ancestrale per la quale non ci sono parole o pillole che possano curare. Aveva proprio ragione Goya: il sonno della ragione genera mostri…

8,5

Danilo Cardone

11 commenti leave one →
  1. 13 settembre 2011 00:56

    Sono sostanzialmente d’accordo con la recensione. Il parallelismo con Gli Uccelli lo trovo decisamente azzeccato. Il senso di inevitabilità della catastrofe sapientemente miscelato alla costrizione fisica del protagonista nel luogo “maledetto” si avvicina molto a quella medesima sensazione creata da Hitchcock e ripoposta (ma perlopiù in modo fallimentare) così spesso nell’horror di bassa lega. Hitchcock, da maestro, era anche andato oltre, creando un senso di impossibilità della fuga pur non impeiagando una palese limitazione geografica (la Shutter Island di Scrosese così come l’Overlook Hotel di Kubrick). Per quanto riguarda la fotografia ammetto di non aver percepito in modo così netto il parallelismo, così come mi sfugge il collegamento con Intrigo Internazionale. Assolutamente nulla da eccepire a proposito del riferimento a Il Gabinetto del Dottor Caligari. Nel complesso, però, fosse per me abbasserei il voto a 7 e mezzo. Un 7 e mezzo che però si merita tutto, quantomeno per lo sforzo di aver proposto una idea trita e ritrita (il protagonista è pazzo, ma se ne accorgerà solo alla fine) in un pacchetto così invitante e gustoso.

    • 13 settembre 2011 01:18

      Bello il paragone con l’Overlook Hotel, così come ho notato ma non scritto, quello del faro di Shutter Island, trattato iconograficamente come la tetra e irraggiungibile casa di Psycho.

      Il parallelismo con Intrigo Internazionale lo ravviso nella forma, nel riproporre alcuni punti salienti della forma hitchcockiana, che con i progessi tecnici e tecnologici è andata perduta. Così prende anche senso l’iniziale scena sulla nave, palesemente girata in interno, esattamente come l’avrebbe girata Hitchcock.

      ^_-

  2. nehovistecose permalink
    15 settembre 2011 12:21

    non sono d’accordissimo col voto – nel senso, io l’avrei abbassato un poco, ma questo credo sia piuttosto personale – ma assolutamente d’accordo con la recensione: è verissimo che è si tratta di un film che, nemmeno tanto implicitamente, parla del “cinema”. Finalmente leggo una recensione positiva, troppe volte ho letto scarabocchi in cui ci si impuntava sulla (apparente) banalità della trama senza analizzare lo stile. Complimenti, ottima!
    Ti lascio quella che ho fatto sul mio sito, se interessa!

    http://nehovistecose.wordpress.com/2011/07/28/shutter-island/

    • 15 settembre 2011 15:08

      Grazie mille 🙂
      Sai, che apprezzo sempre molto i tuoi commenti.

      Per il voto, per me va bene tutto. è solo un indicatore. non mi permetterei mai di giudicare in maniera univoca nè tanto meno oggettiva!
      ^_-

  3. 24 settembre 2011 10:12

    Concordo su tutta la recensione, ma non sui riferimenti a The Departed ed Inception.
    Io li ho trovati degli ottimi film e non mi sono sembrati nè banali nè scontati. In Inception, per esempio, la fine del film lascia molto da pensare…

    • 24 settembre 2011 14:01

      Bah.. insomma… ^_^

      • 24 settembre 2011 16:05

        Cioè, intendevo dire che, più che pensare, ti lascia in sospeso…sogna o non sogna?

      • 25 settembre 2011 12:33

        Si, però ciò che manca a quel film, a mio avviso, è un discorso che vada a investigare sotto la superficie la vera natura del Sogno. Nolan ha creato un film d’azione che ha il suo punto di forza negli effetti speciali, ma che non ha nulla a che vedere con il Sogno vero e proprio. Il sogno stesso è soltanto l’escamotage per cercare una nuova forma per la rappresentazione, sulla scia di quanto avviato con Memento. Però è poco efficace se non per un intrattenimento da domenica pomeriggio. Credo sia molto più “Cinema” Shutter Island che Inception.

        ^_-

  4. 25 settembre 2011 16:28

    Eh vabbè..punti di vista! ^_^

  5. Giulia permalink
    29 marzo 2013 11:12

    “Il gabinetto del dottor Caligari” è del 1920.

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