Amore e Guerra – Woody Allen [1975]
Le notti bianche del sosia dell’idiota
Forse i ragazzi delle nuove generazioni sentendo il nome di Woody Allen potrebbero fare una smorfia contrariata, associando il nome del regista pantofobico newyorkese a quello commediucole pseudo-chic girate negli ultimi anni come Scoop, Basta Che Funzioni e Incontrerai L’Uomo Dei Tuoi Sogni. Non avrebbero tutti i torti. I film più recenti di quel vecchio sposato con la figliastra coreana sono pretenziose divagazioni più o meno sul nulla che continuano a poggiare imperterrite le proprie solide basi sul nome dell’autore e sull’ottima tecnica registica, ormai divenuta accademica.
Eppure quello stesso Woody Allen negli anni ’70 ha saputo rivoluzionare il cinema mondiale per mezzo delle sue straordinarie commedie intellettualoidi post-freudiane. Già, perché dietro ai [buffi] drammi esistenziali dei protagonisti dei suoi film non vi è una regia invisibile atta alla semplice proposizione delle condite battute, bensì si trova una impareggiabile conoscenza della storia del cinema, intelligentemente rimaneggiata e riadattata ai propri propositi, sempre diversi in ogni occasione.
Se quindi si fosse in una scuola di cinema e si stesse affrontando l’argomento Allen, non credo sarebbe sbagliato proporre come uno dei film più rappresentativi Manhattan. A precedere il capolavoro in bianco e nero del ’79 però, credo anche sarebbe opportuno proporre una visione di un altro film, quello che forse più di ogni altro ha saputo cadere nel continuo citazionismo, uscendone persino vincitore.
Sto parlando di Amore E Guerra, film del ’75 dove vengono portate sul grande schermo le vicende donchisciottesche di un imbranato Woody Allen nei panni d’un improbabile rivoluzionario russo alle prese con l’omicidio addirittura di Napoleone Bonaparte.
Ecco la prima citazione! La storia infatti non è altro che una riproposizione del canovaccio di Guerra E Pace scritto nella seconda metà dell’ottocento da Lev Tolstoj. L’ambientazione e la trama sono i due indizi più evidenti dell’influenza che il romanzo ha avuto sul film.
Ma Allen non si accontenta di Tolstoj e in un impeto di amore per i romanticamente decadenti romanzi russi si mette addirittura a stilare una lista delle maggiori opere di Dostoevskij.
Allen desidera proprio far vedere il suo attaccamento agli ideali tragico-esistenziali di questi scrittori, entrando direttamente a far parte di quegli autori di opere che a partire da esperienze di vita finiscono inevitabilmente con l’interiorizzazione di ogni avvenimento al fine di restituirne una condizione cosmica di non-essenza dell’uomo, dagli impossibili esiti positivi. In altre parole, l’uomo è costretto a soffrire perché non può entrare in unione intima con ciò che lo circonda e i soli piaceri della carne non sono sufficienti a sfamare la sete di serenità d’una mente costantemente tormentata dall’esistenzialismo.
Amore E Guerra è il primo vero film che Allen realizza in questo senso. Dopo il freudiano Tutto Quello Che Avreste Voluto Sapere Sul Sesso Ma Non Avete Mai Osato Chiedere e il futuristico Il Dormiglione, rispettivamente del ’72 e del ’73, ecco che con Amore E Guerra il regista americano dà il via alla sua fase di analisi del sé attraverso i rapporti interpersonali, sia nel senso dell’individuo nei confronti dell’intera società, anzi umanità, sia nel senso del singolo individuo rapportato a un altro singolo individuo di sesso opposto. Da qui verranno realizzati Io E Annie e Manhattan, soltanto per citare altri due film che vedono come protagonista l’allora compagnia di Allen, Diane Keaton.
Come il titolo originale recita questo film affronta in primis le tematiche di Love and Death, non Amore e Guerra come nell’errata traduzione italiana, bensì Amore e Morte, proprio come nella migliore tradizione romanzesca russa. Il non troppo noto Romanzo Con Cocaina del misterioso M. Ageev è forse uno dei migliori esempi di questa letteratura che contrappone al contempo l’effimera inafferrabilità dell’amore sentimentale, alla fisicità dell’amore carnale all’onnipresente e talvolta ricercata morte.
Nel film troviamo quindi quella che diventerà una cifra stilistica di Allen, ovvero l’amore corrisposto a singhiozzo tra i due protagonisti, allo stimolo onnipresente sessuale all’ineluttabile morte, vista dall’autore come sempre pronta a portarci via. Il tutto, ed ecco un’ulteriore indice dell’intelligenza del regista, condito da dialoghi che a battute che a causa della traduzione in italiano diventano banalotte, alterna momenti di pura incompresa filosofia nichilista. Qui forse più che mai i dialoghi sono tendenti alla filosofia piuttosto che alla psicologia tanto cara ad Allen.
Se quindi l’amore vive in bilico tra desiderio sentimentale e irrefrenabile pulsione sessuale, la morte invece è totalmente immersa in un discorso che oltre che filosofico è anche fortemente morale e, soprattutto nella prima parte, religioso. La morte per l’autore è onnisciente ed è lei a suggerirci i comportamenti. La morte è la ragione e il fine. La morte, non è dunque Dio stesso?
A fare da contraltare alle teorie da scomunica ci pensa la razionale Keaton che alla sua filosofia associa una dogmatica fede nell’esistenza di Dio che però, e Allen ne è ben consapevole, non fa altro che conferire alla giovane libertina un’ulteriore aura d’ingenuità al suo personaggio.
Ed ecco che si torna alle citazioni. A quelle letterarie e quelle filosofico-teologico-morali [e non per niente viene esplicitamente citato Tommaso d’Aquino], il regista affianca una marea di citazioni cinematografiche tanto da rendere questo film una delle migliori re-interpretazioni di scene di altri film mai viste nella storia del cinema.
Dietro la patina da commedia, Allen crea un’opera fortemente strutturata che si esalta nella forma registica.
Senza voler individuare ogni riferimento al cinema del passato, credo sia importante sottolineare come la prima citazione cinematografica, sia in realtà un riferimento musicale. La colonna sonora è infatti quasi interamente tratta da brani musicali composti dal russo Sergej Prokof’ev che oltre ad essere, per l’appunto, russo di nascita, aveva anche collaborato direttamente alla realizzazione di brani originali per alcuni lungometraggi del cineasta russo dagli intenti filosofici [tanto per cambiare] Sergej Ėjzenštejn. Ėjzenštejn che tra l’altro viene più volte citato all’interno del film con una quasi copiatura di una scena de La Corazzata Potëmkin e con alcune geometrie “gerarchizzanti”.
La forte integrazione con le musiche di Prokof’ev è oltre che tematica anche, e forse soprattutto, un sostegno fantastico a quanto avviene a livello visivo sullo schermo. La musica è quindi un abilissimo espediente per allacciarsi al cinema del passato, quando le peripezie di un Charlie Chaplin piuttosto che di un Buster Keaton erano costantemente accentuante dal tono sonoro. Allen conosce bene questo procedimento e sa come utilizzarlo. Allontanandosi leggermente dagli estremi visti ne Il Dormiglione, il cosidetto stile della slapstick comedy, ovvero della commedia basta sulle gag fisiche del cinema muto degli anni ’10 e ’20 del novecento, è anche in Amore E Guerra ben presente ed è uno degli assi portanti dell’intera opera. Di straordinaria efficacia è la scena del neo-arruolato Allen che non riesce a sparare un colpo con il fucile, così come quando l’eroico protagonista urta continuamente le gran dame con la sua lunghissima spada di rappresentanza nel foyer d’un teatro.
E non si escluda l’accelerato che fa tanto cinema delle origini!
D’altronde la mimica per Allen ha sempre rivestito un’importanza centrale nelle sue opere. Come nel muto sono l’espressione facciale e la teatralità dei movimenti a generare l’ilarità nello spettatore, anche nei suoi film questi caratteri sono sostanziali per creare un senso d’ingenuità e di buffo dei protagonisti.
Malgrado le similitudini con la situazione inversa rispetto a quella della carriera del libertino magistralmente inscenata da Kubrick in Barry Lyndon siano da escludere a causa di una quasi concomitanza dell’uscita nelle sale, non è possibile scindere Amore E Guerra dal cinema di Ingmar Bergman.
Bergman, il regista faro per Allen in quanto psicologico, onirico e al contempo direttamente legato a quel cinema scandinavo dei primi vent’anni del ‘900 che ha saputo così fortemente fare da guida per il cinema mondiale. Anche in altri film di Woody Allen troviamo vari echi bergmaniani, ma qui in Amore E Guerra sono decisamente più che esplicite le citazioni. Due su tutte sono assolutamente degne d’essere evidenziate. La prima è la sovrapposizione parziale dei volti di due donne [una è la Keaton protagonista, l’altra si presta soltanto al gioco] che assieme formano un unico volto visto di fronte e contemporaneamente di profilo. E’ l’esatta riproposizione dell’ineguagliabile trovata registica proposta da Bergman nel suo capolavoro Persona del 1966.
L’altra citazione è quella, decisamente più popolare, dell’incontro fra il protagonista e la Morte. L’esempio de Il Settimo Sigillo, opera del maestro svedese del ’57, non è in questo caso seguito alla lettera, ma ne è evidente la derivazione. Oltretutto l’ultima scena della cosidetta danza macabra pare evidente che non potrebbe esistere senza che Allen abbia visto la scena finale de Il Settimo Sigillo. La rivistazione è ironica, ma al contempo non molla la presa da quella filosofica riflessione sulla serietà nel trattare il tema della morte.
Amore E Guerra è un film divertente e intelligente che a tratti, proprio per la sua spiccata vena intellettuale, potrebbe leggermente annoiare uno spettatore totalmente spensierato. Eppure questa resterà sempre una delle opere più riuscite di Woody Allen. Una pietra miliare, che ogni appassionato di cinema dovrebbe aver visto.
Danilo Cardone
Uno dei miei Woody Allen preferiti. Recensione meravigliosa. Chapeau!
Grazie mille a te per il commento e a Woody per i[l] film.
Complimenti per il blog, un saluto!!
Grazie mille, Stefano!
è sempre un piacere trovare punti di contatto