Dolan’s Cadillac – Jeff Beesley [2009]
Stephen King non deve morire
Tratto da un racconto di Stephen King, Dolan’s Cadillac narra la storia di una vendetta.
Non siamo nell’ambito paranormale del King più classico, bensì ci troviamo in quella zona morta nella quale spesso lo scrittore americano va a far visita per trarre le sue ispirazioni. A volte esce da lì con lo pseudonimo Richard Bachman, altre volte utilizza addirittura uno pseudonimo dello pseudonimo. Altre volte ancora invece rimane sé stesso limitandosi a focalizzare la sua attenzione sulla follia umana.
Forse l’esempio più importante per quanto riguarda i racconti brevi in questo verso è dato da L’Arte Di Sopravvivere [Survivor Type] del 1985 contenuto nell’antologia Scheletri.
Sta di fatto che Dolan’s Cadillac non è niente male a livello di trama. E’ semi-assente ma è assolutamente funzionale a reggere il gioco alla parte di manifestazione della follia del protagonista.
E così è anche nel film, con la differenza che la prima parte di racconto delle motivazioni che spingono il protagonista a volersi vendicare è troppo lunga e fine a sé stessa. Forse un buon regista avrebbe potuto risolverla in un minuto. E invece no, Beesley deve annacquare la storia per farla arrivare a un’oretta e venti per garantire ai cinema di proporre un film di lunghezza accettabile in rapporto al prezzo del biglietto.
La seconda parte, quella dell’attuazione della vendetta è ben fatta.
Si, è vero, la storia è un po’ un luogo comune del genere thriller-horror e già Edgar Allan-Poe scrisse qualcosa di simile. Però questa volta non è mal realizzata. Oddio, niente di che, però si fa seguire senza troppe difficoltà.
Difficoltà che sono invece continuamente palesate dagli attori. Non se ne salva nemmeno uno, se non Christian Slater, per il solo fatto che la sua faccia è la più conosciuta fra quelle del cast e richiama subito alla mente film interessanti del tipo de Il Nome Della Rosa e di un paio di altri film della fine degli anni ’80.
Interessante è notare come gli ambienti siano spesso connotati da una colorimetria differente a seconda dei luoghi e della temperatura che li contraddistingue. Non è niente di innovativo però nella mente degli appassionati di storia del cinema potrebbero risuonare echi d’inizio novecento quando le tecniche del viraggio e dell’imbibizione non erano altro che i primi tentativi per colorare in postproduzione le monocrome pellicole. Purtroppo ci sono molte buone ragioni per credere che la scuola del regista in questione non sia tanto quella torinese degli anni ’10, bensì quella del “bluff” Soderbergh in film come Traffic del 2000.
Amen.
Scusate se ora interrompo le mie scritture a riguardo di Dolan’s Cadillac, ma c’è qui un pagliaccio che insiste per regalarmi un palloncino…
Danilo Cardone