Persona – Ingmar Bergman [1966]
Cogito ergo deliro
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Il termine “persona” deriva con ogni probabilità dal latino personare dove indicava l’azione del “parlare attraverso”. Specificatamente era un parlare attraverso una maschera, quella teatrale, la quale aveva il compito di mutare l’identità dell’attore e nel contempo di amplificare la voce dell’attore stesso in tutto il teatro.
Ecco da dove trae spunto Ingmar Bergman quando nel 1966 decide di girare questo film.
Da qui, però, tutto è possibile. Nell’interpretazione del film, della sua trama, di come lo si possa percepire… Nulla è ben definito con significati univoci all’interno degli 85 minuti di questa pellicola.
D’altronde non c’è dubbio che questa sia l’opera più sperimentale del cineasta svedese. E’ l’opposto, per certi versi, de Il Posto Delle Fragole girato nove anni prima. Lì la composizione era estremamente pulita, linda, in certi frangenti persino utopica. Il protagonista parte per un viaggio e molte scene sono girate in esterni.
In Persona non è così. Due attrici in tutto il film: la bravissima Liv Ullmann e la strepitosa Bibi Andersson. Di cui una delle due muta per tutto il film. Stop. Fine. Non c’è altro.
La storia è quella di una famosa attrice di teatro che, sanissima di mente, un bel giorno sceglie di smettere di parlare. Del tutto e con tutti. A lei viene affiancata una giovane infermiera che ha il compito di seguirla durante tutto l’arco della giornata nelle sue necessità.
Le due vanno in una casa isolata in riva al mare ed è là che si svolgono tutte le azioni.
Ma che dire, sono tutte azioni intime e interne alle protagoniste. E’ tutta psicologia. Follia.
Bergman utilizza pellicole strappate, rapidissime immagini forti [alcune persino censurate nella versione italiana] e un bianco e nero commovente esaltato da una incredibile fotografia firmata dal genio della fotografia cinematografica Sven Nykvist, per prendere lo spettatore per i capelli e portarlo con violenza forzata all’interno della vicenda, non solo facendolo entrare in empatìa con una delle due protagoniste bensì con la pellicola stessa.
La sensibilità straripa da una fortissima sceneggiatura e la bravura delle protagoniste fa il resto.
Non c’è da capire questo film, ma da viverlo. Bisogna subire la pellicola e non aggredirla come si è abituati a fare nel cinema contemporaneo. Lo spettatore medio contemporaneo è spesso definito come passivo in quanto si ciba di qualsiasi becchime, meglio se scadente, che gli viene proposto a livello cinematografico, e non c’è nulla di male in questa definizione. A mio avviso però lo spettatore medio contemporaneo è anche estremamente attivo in questo suo stato di perenne passività societaria, in quanto ha una necessità innata e dannosa di voler afferrare per filo e per segno ogni minimo dettaglio fra quei pochi che gli balzano all’occhio. E questo è un guaio, perché quello spettatore lì crede di poter avere sotto controllo le espressioni altrui, così tanto da poterle interpretare e giudicare. E’ di base uno spettatore arrogante che non si sognerebbe mai di subire senza comprendere un film per il quale ha pagato un prezzo del biglietto.
Eppure di fronte a un film come Persona cambia il rapporto spettatore-opera, e questo è evidenziato dai ripetuti [e ultra-significativi] sguardi in macchina delle protagoniste che non parlano soltanto fra di loro, che non parlano soltanto a loro stesse, ma che parlano direttamente allo spettatore che, immerso nella pellicola, parlerà a sé stesso.
D’altronde la concezione cinematografica che Bergman palesa in quest’opera è coincidente a quella che qualche anno dopo amerà più o meno sbandierare un altro grande del Cinema come Stanley Kubrick il quale in riferimento a 2001: Odissea Nello Spazio, affermerà « Se qualcuno ha capito qualcosa del mio film, vuol dire che ho sbagliato tutto. ».
Il che non significa che non bisogna assolutamente comprendere significati nel film, ma che ognuno deve recepire l’opera cinematografica come vera opera d’arte, lasciandosene influenzare e comprendendo ciò che si riesce a comprendere secondo le proprie esperienze. L’atto della creazione si conclude con il compimento dell’atto stesso, e non può protrarsi nella mente nemmeno del suo creatore se non tramite il ricordo del momento della creazione.
In altre parole: non si deve cercare di capire i propositi dettagliati del regista perché è impossibile farlo.
E così è in Persona. Tutto è frastagliato, indefinito, molteplici soni i piani di lettura possibili, ma nessuno è univoco e inequivocabile.
Nell’indagine del sé tramite l’altro che ha luogo nelle protagoniste è possibile vedere di tutto. Dall’allegoria societaria classista a un’analisi sulla repressione, dal saggio sulla malattia mentale ai disturbi sull’identità personale, e così via.
Diciamo che il punto di partenza di tutto parrebbe poter essere individuabile proprio prendendo spunto dall’analisi etimologica del titolo, grazie alla quale si possono osservare l’assenza di una fittizia maschera indossata, come diceva Platone, all’occorrenza e sempre diversa a seconda del termine del nostro rapporto, e contemporaneamente l’ossessione del celarsi dietro a una maschera.
Credere d’essere e voler apparire. Credere d’apparire e voler essere.
Scusate, ho già scritto troppo su questo film. Per rendergli veramente giustizia avrei soltanto dovuto tacere…
Danilo Cardone
http://www.imdb.com/title/tt0063759/
fine.
Più di Persona?
[comunque Persona visto al Massimo in lingua originale…]
Bel blog! sono una divoratrice di film, seguirò i tuoi consigli.
mi piace la tua interpretazione del senso, la colloco allora e adesso per quanto dura l’opera d’arte. Il problema credo stia proprio in questo, ovvero nell’abuso della parola eternità, che tu saggiamente, non usi. Finché ci sarà una verosimiglianza tra l’immagine e il suo attore il senso potrà restare sospeso e riempito da chi guarda. Di questo film ricordo di allora, il senso d’impotenza nel voler trovare una conclusione che permettesse di parlare direttamente con l’autore. Dopo ho pensato allo specchio e da allora ho guardato Bergman con altri occhi, senza vederlo.
E’ importante vedere qualcosa tranne quello che ci si aspetta di vedere. E’ spiazzante ed estremamente utile per la coscienza. è come se ogni volta che succede se ne liberasse un parte.
e così ecco uno spiraglio in più per percepire ciò che ci circonda.
E’ importante ciò che scrivi. E’ importante trovare ciò che scrivi.
Non ho ancora visto il film per paura che mi legni troppo… 🙂
Scherzi a parte. Interessante il discorso sullo spettatore, perché chi va a vedere qualcosa al cinema è in genere attratto da ciò che già conosce, eppure l’uomo non è fatto per questo. L’uomo deve scoprire, imparare, vedere novità.
O magari vedere in maniera diversa ciò che già conosce benissimo.
Cibo per la coscienza, e se quella muore di fame è un bel problema.
Concordo, l’uomo non è fatto per cibarsi di ciò che ha già digerito…