The Fall – Tarsem Singh [2006]
Caduta Inversa Nella Cinematografia
Si prenda il principio krishnamurtiano per il quale tutto ciò che è nella mente è reale, e si tenti di trasportarlo in espressione cinematografica.
Questo è The Fall. Film accuratamente omesso dal mercato italiano, opera seconda di Tarsem, medesimo regista del ben più acclamato, ma molto meno apprezzato The Cell.
La storia presenta due vicende parallele ed estremamente concatenate fra loro: la prima racconta di un ragazzo che inventa e racconta a sua volta una storia a una bambina sua compagna di degenza ospedaliera. La seconda vicenda è proprio quella inventata e narrata dal protagonista.
Le due linee narrative scorrono parallele l’un l’altra intrecciandosi fortemente quando il racconto favolistico passa dall’essere pura invenzione a essere pura proiezione delle paure e delle angosce del narrante.
Aldilà del soggetto che potrebbe fornire molti più risvolti psicologici di quanti realmente ne fornisca, The Fall resta impresso nella mente dello spettatore per altre due ragioni: la prima, è la piccola protagonista Alexandria [interpretata da Catinca Untaru] che con la sua dolce innocenza e la sua curiosa malizia fornisce svariati spaccati che potrebbero essere presi così come sono e inseriti in un fantomatico prequel dedicato all’infanzia dell’ormai icona Amelie Poulain [Alexandria quando lecca con la punta della lingua i blocchi di ghiaccio, ah! quanto ci ricorda l’Amelie che affonda le dita nel sacco pieno di legumi!]. La seconda ragione che fa di The Fall un film di un certo interesse, è la fotografia. Inquadrature che spaziano dal primo piano al campo lunghissimo, colori accessi e vivaci e una dose sostanziale di surrealismo che rimanda a Dalì e, perché no a Bunuel, sono le caratteristiche di un’immagine forte, potente già nella sua staticità. Geometrie e prospettive che si rincorrono e si accavallano per disorientare uno spettatore meravigliato succube delle spiazzanti trovate che ingannano una percezione solitamente calibrata sull’apparenza dell’essere piuttosto che sull’esser-ci heideggeriano che, con un pò di esagerazione, trova in questa pellicola continuo sfogo e repressione.
A metà strada fra l’immagine e la sostanza narrativa è invece la più che felice caratterizzazione dei personaggi. Fantastici, surreali, stereotipati e stereotipanti.
Buon montaggio e movimenti di macchina d’estremo impatto visivo.
Se solo Tarsem scavasse più a fondo nei personaggi, piuttosto che ascoltare i consigli dei suoi due nomi sponsor David Fincher e Spike Jonze…
Danilo Cardone
Interessante sito, buon lavoro
ho letto la tua recensione mentre su rai 4 andava il film e dopo averne trovate altre nel web
recensione la tua assolutamente centrata. la fotografia è la chiave geniale di questo film . una fotografia onirica , di chiara matrice pubblicitaria e tarsem è infatti un regista con radici pubblicitarie.
se solo , come dici, lavorasse anche sulla cifra intima dei personaggi….
direi per aggiungere un altro nome ai tuoi : vagamente felliniano… nel 21° secolo. che ne dici?
calcefix
c’è del Fellini, è indubbio, anche se il buon Federico ha significati palesi e significati nascosti, mentre Tarsem rimane sulla superficie. a lui interessano narrazione e impatto visivo.
Grazie mille per il commento, calcefix!